giovedì 23 agosto 2012

Tutti i raggi dell'Italia

"Très chaud, très long, très dur" questa sintetica definizione della 1001 miglia letta su un forum francese pochi giorni prima della partenza mi è ronzata per la testa a lungo. Il gallo-randagio aggiungeva alle tre difficoltà la " fameuse organisation italienne (si, si!) " ma questo giudizio credo dipenda da incomprensioni storico-culturali tra vicini visto che, mentre le prime tre difficoltà sono in effetti emerse alla grande, l'organizzazione non mi è sembrata malaccio: certo si può sempre migliorare e a questo fine, stimolato anche dal patron Fermo Rigamonti, butto giù qualche ricordo/sensazione/critica di un'avventura durata fisicamente quasi cinque giorni ma che mentalmente mi assillava da qualche mese. Certo perchè una pedalata di 1632km non la si improvvisa e alla fine il risultato, al saldo delle sfighe sempre in agguato, non è che la somma di tutta la preparazione atletica e logistica.
Ma non vorrei farla troppo lunga perciò arriviamo a bomba a Nerviano lunedì 16 agosto dove la banda mondiale di ciclo fachiri si sta già bollendo anima e corpo nell'hinterland milanese dove troviamo gioiellini quali il Monastero degli Olivetani, testimonianza della antica bellezza di questi luoghi particolarmente aggrediti oggi dal selvaggio sprawling urbano, e sede del Municipio e del "controllo mezzi" che in realtà consiste nella consegna dei pacchi gara e delle varie formalità burocratiche, testamenti ecc. Lì apprendo subito una brutta notizia, che parrebbe confermare le basse insinuazioni francesi di cui sopra, ovvero che la mia maglia-salopette ufficiale benchè preventivamente prenotata, non c'è ma mi verrà spedita a casa solo a fine settembre. Vabbè, posso sopravvivere e ho ben altri problemi da risolvere al momento tra roadbook e bag drop: per chi non lo conoscesse il primo termine indica le varie stazioni del nostro calvario mentre il secondo è il trasporto di borse verso due località situate lungo il brevetto. Sembrano due elementi ciclisticamente secondari ma in verità sono molto importanti visto che determinano la strada da percorrere e cosa portarsi appresso nelle borse. Il percorso è segnalato sia da frecce pitturate sulla strada, vedi foto,
 sia tramite apposito roadbook con scritte tutte le varie svolte,direzioni, incroci infine vengono fornite tracce GPS per i navigatori che ormai quasi tutti i ciclo randagi utilizzano: beh ,uno da fuori dice" allora non puoi sbagliarti" invece la realtà è differente. Intanto le tracce sono in bianco ma soprattutto sono state tracciate forse in eccessivo anticipo e sono difficilmente visibili. A qualche incrocio mancano e non sai mai se sei sulla strada giusta. Il roadbook anche lui viene stampato mesi prima ma nel frattempo il Comune di Pincopallazzo ha deciso di riasfaltare le strade mentre in quello di Vacondio c'è stata un'alluvione e si capisce che non è possibile ristampare tutto ogni volta, così ci sono sempre modifiche al percorso che vengono certamente spiegate dagli organizzatori durante il briefing pre-partenza ma che io puntualmente dimentico, preso dalla foga ciclistica, e mi trovo poi puntualmente a vagare senza senno come l'Orlando Furioso nella campagna di Todi a 40 gradi. Il sistema che uso è quello del navigatore GPS che però ha anche lui le sue belle disgrazie: innanzitutto le tracce devono essere aggiornate e precise poi finiscono le pile o il navigatore si impalla insomma il tutto va interpretato. Bisogna essere anche dei cartografi in questi brevetti...
Il secondo problema, ovvero quello logistico, scava già un fondamentale solco tra chi ha una macchina o camper che lo assiste e gli porta ricambi, cibo e altro e chi invece si sgrugna tutta la pedalata in solitaria quindi portandosi appresso 3-5 chili in più: e quei chili con più di 16000 mt di salita diventano alla fine macigni. Quello che propongono alcuni stranieri incontrati sarebbe di stilare due classifiche separate: una con e l'altra senza assistenza. In qualsiasi caso bisogna essere molto precisi e preveggenti nel dosare quanto mettere nelle borse per evitare da una parte di rimanere bagnati, affamati, ghiacciati o senza pezzi di ricambio e dall'altra di girare con 10kg di zavorra. Anche qui l'esperienza è fondamentale, oserei dire come per tutto nella vita. Purtroppo sono un pivello e per quanto ascolti e legga i consigli degli esperti faccio sempre qualche cavolata: comunque sia ci troviamo sulla pista dello stadio di Nerviano pronti per la partenza che avviene alla francese ovvero a gruppi di 25 ciclisti ogni 10 minuti.
 Credo che ciò sia fatto per evitare intasamenti da gruppone ma il risultato è uno spingi-spingi per essere più avanti visto che se il primo gruppo parte ai 30 all'ora il secondo va ai 35 e il terzo ai 40 per raggiungere quello davanti con il risultato che dopo 40km siamo comunque in una settantina. Qui prendono decisamente in mano la situazione i tedeschi che sono, si sa, molto organizzati e compatti, sembra di rivedere su due ruote la situazione politica europea. Lo spread ciclistico è palese quando al 50° km in punto i crucchi si buttano tutti a lato all'urlo di "pipì,pipì...e chi non piscia in compagnia..." ma al 63° ci hanno già ripreso. Corrono bene sti tedeschi, doppia fila, cambi regolari e se a qualcuno cade qualcosa, ad esempio, si fermano tutti, lo aspettano e tornano sotto. Noi italiani sia più individualisti e forse egoisti ma certo queste dinamiche applicate su larga scala spiegano perchè le cose vadano così male dalle nostre parti e bene dalle loro. A un certo punto prendono una direzione diversa da quella prevista e sia io che l'amico Fausto proviamo a chiederne il motivo: facciamo così la conoscenza di un energumeno stra-tatuato che dirige la squadriglia tedesca. Compare così in questa cronistoria la figura di Jens del quale parlerò ancora a lungo: basta intanto accennare che il "Kaiser" non risponde neppure alle nostre contestazioni e continua a tirare imperterrito con un suo socio in recumbent (sono le bici reclinate dove si pedala da sdraiati ed esseno molto aerodinamiche sono molto veloci in pianura ma scomode in salita). Mi piace vedere come corrono i tedeschi che sono evidentemente ottimi passisti: per forza vivendo magari a 300 km dalla prima montagna non posso che essere allenatissimi in pianura. Parecchi montano anche le protesi sul manubrio da triathlon, espressamente vietate dal regolamento che viene evidentemente applicato all'italiana ovvero con roboanti dichiarazioni teoriche alle quali non corrisponde alcuna pratica. La stessa cosa vale per la velocità massima consentita sulla quale Fermo ha insistito solo poche ore prima: di solito nelle randonnee è tollerata una velocità media dai 15 ai 30kmh in questo caso vista la pianura si potrebbe arrivare al massimo ai 32 e noi siamo sopra ai 33 ma al primo controllo di Fombio nessuno ci fa caso. Qui scopro un'altra brutta caratteristica dei randagi soprattutto italici: le code non esistono così anche se arrivo al controllo davanti a tutti quando presento la mia carta di viaggio mi sono già avanti in 20 persone!!
Pisciatina, acqua fresca e si riparte: ho deciso che rimarrò il più possibile con la banda di Jens visto che voglio arrivare a Faenza, ovvero alle prime salite, il più presto possibile.
Certo la disciplina è dura e quando i due sgherri in testa sbagliano la strada i tedeschi scompaiono per un po': evidentemente l'onta va lavata velocemente e quando ricompaiono mi sembrano diminuiti di numero....
Devo ammettere che non mi piace stare in scia senza dare cambi così provo a dare qualche aiuto davanti ma non è facile: se la velocità non è esattamente quella prevista vieni cazziato con un secco "zu schnell"(troppo veloce) dimenticando che fino a pochi minuti prima loro andavano ancora più veloci. Comunque si arriva al secondo controllo a Colorno con la solita ammucchiata al tavolo del timbro sotto gli occhi schifati dei ciclisti stranieri. Si riparte passando dalle terre Verdiane e tra le case ancora sfregiate dal terremoto nella bassa modenese ma sono dettagli che non toccano questa mandria imbufalita: più tardi ne parlerò con alcuni di loro e nessuno si è accorto di essere passato in una zona terremotata. Questa rimarrà una costante per tutto il percorso evidentemente studiato per presentare le bellezze storico-culturali-paesaggistiche italiane ma che ho l'impressione siano state le classiche "perle ai porci": è vero che ho fatto il percorso con ciclisti che volevano "fare il tempo" ed erano decisamente più interessati alla qualità del fondo stradale ..."sono meglio le strade in Serbia" si lamenta Tom di Koln nel finale. Boh evidentemente non si può accontentare tutti ma è vero che certe strade secondarie sono un buco unico e quando hai male alle chiappe preferiresti una buona strada asfaltata da poco alla visione del duomo di Siena. Purtroppo la decadenza della nostra nazione è inesorabilmente palesata anche dallo stato delle strade.
Ma torniamo al terzo controllo di Massa Finalese dove finalmente si mangia: ci arrivo dopo una bella tirata motivata da una parte dalla fame e dall'altra dal volermi cavare un sassolino nei confronti del rad-kommando. Fausto si incazza con me per questa sparata e probabilmente ha ragione. E' la prima alba sulla strada,sempre magica. Constato che i primi piatti sono senza carne o pesce e questo mi conforta molto, gli organizzatori hanno fatto un bel regalo a noi vegetariani e questa sensibilità gli fa guadagnare molti punti nel mio tesserino visto che non c'è nulla di peggio che arrivare con la bava alla bocca ad un controllo e scoprire che l'insalata di riso o la pasta contengono carne. Riparto da solo dopo essermi rimpinzato e raggiungo un gruppettino farcito da randonneur standard italiani: sui 55 anni, parlata brianzola, qualche capello grigio ma con un bel fisico, Pinarello Kuota e divisa della nazionale rando. Ne incontrerò molti e sono generalmente buoni compagni di viaggio ma qui ho voglia di andare e quando dopo pochi km chiamano "pausa caffè" io rimango a pedalare con uno straniero finora sonnecchiante in coda al gruppetto. Il tipo mi passa, fa cenno di accomodarsi a ruota e inizia a menare come un fabbro arrapato sui 39 kmh, dopo qualche km gli do qualche cambio ma non sorpasso i 35 poi raggiungiamo un altro solitario di Formigine con il quale discutiamo delle traversie di Riccò. Il mazzuolatore straniero non parla inglese ma sfruttando la mia conoscenza dello sloveno riesco a capire che fa il pompiere e che è appena venuto da Varsavia a Roma in bici: certo ha una bella condizione. Arriviamo così a Faenza dove inizia a far caldo, si mangia discretamente e poi via: da qui , dicono gli esperti, inizia la vera rando. Pavel mi chiede se voglio partire con lui e con un altro energumeno polacco ma gli rispondo gentilmente che vanno troppo forte e non voglio tirarmi il collo. Scoprirò dopo che questa capacità di inserirsi o formare gruppi è una delle arti necessarie al buon randonneur anche perchè soprattutto di notte o in pianura essere in gruppo aiuta. Ma è anche vero, come mi aveva spiegato il buon Silvano, mio rando-maestro, che il gruppo può essere anche un vincolo perchè uno ha i crampi, l'altro ha fame, il terzo ha sonno e l'ultimo deve cagare: alla fine se non c'è molto affiatamento il gruppetto può portare più danni che benefici. La soluzione migliore a mio parere è la coppia e ho molto ammirato l'affiatamento e l'organizzazione di due di amici , John di Londra e Johann svedese, con i quali ho passato alcune ore in Toscana.
Riparto ancora da solo e ritrovo disperso per Faenza Gaetano da Vicenza con il quale avevo già pedalato nella valle del Rodano nella Tourblanc: è simpatico e molto positivo e vuole chiudere la carriera ciclistica con questa rando per stare poi più vicino alla famiglia: motivazione encomiabile (voglio poi vedere se ci riesce...). Vorrebbe anche finire la rando entro domenica sera perchè lunedì deve lavorare ma lo avverto che questo invece sarà impossibile: il caldo, come previsto, inizia a farsi sentire e sarà bene stare tranquilli per evitare colpi di sole. Passiamo da Predappio e restiamo colpiti dai negozi che vendono paccottiglia nostalgica fascio-nazista: personalmente sono scandalizzato perchè la nostra costituzione vieta espressamente queste manifestazioni. Non sono un bacchettone e da ragazzo ho frequentato il Fronte della Gioventù, adesso mi considero un libertario e non ho particolari prevenzioni tanto che sono appena stato a visitare il "nido dell'aquila" di Hitler in Baviera dove però mi ha colpito positivamente la totale mancanza di ogni traccia di croci uncinate o altro. E' il solito discorso, in Germania le cose si dicono e si fanno, da noi la pratica è arrangiata a piacere: Gaetano invece pensa che sia giusto lasciare libertà anche ai nostalgici di acquistare quello che vogliono. Boh mi piacerebbe sapere cosa penserà Kaiser Jens quando passa di qui. La strada sale lentamente ma il caldo la rende ostica anche con pendenze sul 4% così ci fermiamo ad un bar ristorante di Premilcuore anche perchè personalmente ho pressioni in zone meno nobili del corpo umano come i visceri. Nello stesso momento entrano anche Fermo con la cupola organizzativa della 1001 miglia, sono preoccupati per il caldo ma intanto si accomodano al ristorante mentre io e Gaetano cerchiamo di rifocillarsi al bar: confido per scherzo al simpatico Stefano Morelli che questo fotografa ineluttabilmente il divario tra classi sociali ma lui specifica che anche loro si sono svegliati alle 5 dopo essere andati a letto alle 3; certamente siamo gli attori complementari di questo gioco che senza di loro, evidentemente, non potrebbe esistere. Solo facendo tutto il giro si riesce a capire quanto complicato sia il loro lavoro, quante variabili abbiano causato soprattutto nelle prime edizioni il giudizio "francese" ma in quel momento io sto sudando come una biscia sotto al sole rovente mentre loro si degustano le pappardelle al cinghiale e non è la stessa cosa! Gaetano mi lascia salire perchè dice di non avere una gran condizione, veramente diceva così anche alla Verona Resia ed è arrivato tra i primi 5 alle 5,20 di mattina. Si scollina al passo dei tre faggi a 920mt. e cerco subito un po' di ombra per riposarmi, la vedo 50mt dopo il passo dove c'è un ciclista seduto. Ha anche lui la divisa di ordinanza della "nazionale" ma è senza bici: gli chiedo se gliel'hanno rubata ma inizia a rispondermi a monosillabi raccontandomi la sua triste avventura. Si chiama Paride ed ha avuto un blocco intestinale salendo, a dire il vero mettendoci del suo visto che ha bevuto molti caffè che invece lo fanno star male. Qualcuno lo ha portato su in macchina mollandolo però come un pacco postale. Sta male, vorrebbe vomitare ma non ci riesce, ed è disperato perchè ci teneva molto a questo brevetto. Inizia a tremare e lo faccio sdraiare coprendolo con una mantellina visto che dice di aver freddo. Brutti segni, cerco di tranquillizzarlo, gli dico che il nostro corpo è una macchina perfetta e che generalmente si autoregola, che deve solo calmarsi e magari poi proseguire anche se fra me penso che non sarà assolutamente in grado di farlo, infatti si ritirerà saggiamente a Dicomano. Dice che un amico gli sta portando su la bici in macchina e non capisco come visto che siamo tutti in bici, magari avrà un'assistenza , penso io. Intanto passa gente sia pedalante che in macchina: un toscanaccio scende dal furgoncino e ci chiede gentilmente se vogliamo un passaggio, poi ,dopo che gli spiego cosa stiamo facendo chiede " ma siete sicuri che vi faccia bene?" Non attende risposta, guarda il disperato Paride per terra e si auto-risponde scuotendo la testa "Non , un fa bene per nulla, lasciatemi andare, via, che devo andare a far legna". Onestamente capisco pure lui...continuano a passare ciclisti ma della bici nessuna traccia. Un tipo dice che adesso starà lui con Paride ma che va a prendere un po' d'acqua e poi torna...invece lo rivedrò solo al controllo. Sono perplesso perchè credo che quando si va in bici una delle prime regole sia quella solidarietà che ti porta a chiedere sempre "tutto bene?" al collega che vedi fermo per strada, figuriamoci in una rando e con un partecipante sdraiato per terra. Invece passa Kaiser Jens che guarda tutti dall'alto in basso senza cagarci assolutamente: sento che la sua bici cigola minacciosamente in frenata e quando scendendo lo trovo incazzatissimo con la bici rotta penso che forse lo spirito rando non esiste ma Dio sì.
Al controllo di Dicomano c'è già un'atmosfera da ritirata di Russia con Fermo che rallegra il pueblo ricordando che la prossima tappa, quella del monastero della Verna, è la più dura in assoluto. Vedo che dobbiamo salire al passo della croce dei Mori già affrontato nella rando di Lugo ma dall'altro versante decisamente più facile.
 Il paesaggio è splendido ma fa molto caldo la salita è lunga ma pedalabile così decidiamo con Gaetano di fermarci in un bar di Stia a bere qualcosa, così gli potrò raccontare le mie avventure giovanili come pastore di capre a pochi km da qui. Invece non riusciamo neppure ad accennarne perchè il barista è un appassionato ciclista e la discussione viene inevitabilmente focalizzata sui suoi ricordi delle precedenti edizioni e sulla descrizione della salita della Verna che spaventa un po' tutti: ci tranquillizza spiegando che per noi non dovrebbero esserci problemi. Arrivano anche altri randagi e me li porto a spasso verso Bibbiena grazie alla mia parziale conoscenza delle zone e soprattutto del mio GPS, poi a ruota si sta sempre bene...dopo lo strappo dell'ospedale però mi giro e non c'è più nessuno, rallento e vengo raggiunto da Czesar, amico di Pavel ed anche lui pompiere polacco e dal buon Gaetano: siamo molto preoccupati per gli ultimi 3km da Chiusi che qualcuno ci ha descritto come durissimi. Invece è tutto molto regolare, ammiriamo un tramonto mozzafiato sugli Appennini ma arrivando su incrociamo un gruppo che scende dicendo che è la strada sbagliata: la cosa ci preoccupa ancor di più quando in cima non troviamo le solite indicazioni ma le frecce per l'Eroica. La traccia GPS arriva in una piazzetta dove un tripputo americano dichiara di non aver visto neppure un ciclista...invece sono tutti a 100mt e ripassando davanti ad un gruppetto di beghine e frati che pur ci avevano visti salire ma non ci avevano detto niente gli rivolgo alcune frasi decisamente poco francescane. Finalmente guadagno la mia branda tra l'altro nel semideserto dormitorio femminile. Il controllo è permeato dall'ospitalità francescana e presidiato da un simpatico baffone che scoprirò in seguito essere tra gli organizzatori dell'Eroica. Purtroppo non riesco a dormire anche a causa della troppa Coca-cola bevuta nonchè di un gel comprato al Decathlon che contiene taurina, caffeina e altre sostanze che per me che non bevo caffè da anni fanno l'effetto di due piste di cocaina...decido così di ripartire e mentre mi preparo arriva Fausto al quale cedo la contesissima branda mentre la parte sopra la subaffitto ad un altro ragazzo conosciuto nel forum di BDC sotto il nick "il fennec". Provo a svegliare il mio socio Gaetano che mi dice seraficamente che stava facendo un bellissimo sogno invitandomi quindi a togliermi dai marroni.
 Vedo che sta ripartendo anche un signore di una certa età che scoprirò successivamente essere stato campione italiano di "duathlon"(corsa più ciclismo) e che qui funge da gragario di Laura una giovane ragazza che punta direttamente alla vittoria femminile. Scendendo dalla Verna la tipa mi racconta che fatto equitazione a livello agonistico per 10 anni ma successivamente, innamoratasi delle due ruote, si è fatta ciclista correndo anche per la Federazione. Adesso sta scrivendo la tesi di laurea proprio sulle 1001 miglia e non nasconde mire di vittoria. La scorta anche il padre in un furgone da frikkettoni con bandiera USA e ogni tanto compare anche la madre.
Certo pedala bene, ma quando la vedo sgambettare in salita con la sola borsettina degli attrezzi capisco che esistono proprio due rando diverse. Raggiungiamo un gruppetto con i ragazzi di Savona, anche loro con camper al seguito, e insieme raggiungiamo Montallese dove avviene il primo bag-drop e dove, dopo 670 km, posso già iniziare a fare un primo bilancio del brevetto. Innanzitutto sto bene e sono contento che la mia organizzazione di borse e cibi stia funzionando, purtroppo il soprassella inizia a farmi proprio male ma questo era prevedibile visti i miei problemi per trovare una sella affidabile. Ho capito poi che un brevetto è un po' come una corsa a tappe concentrata dove ogni controllo è diverso e ogni parte del percorso ha una propria personalità. Qui a Montallese per esempio il cibo è pessimo, la cucina è gestita male, mi tagliano una fettina di anguria da 30 grammi e la pasta è dura come il marmo...un ragazzo svedese conosciuto nel finale mi racconterà di aver aspettato lì 45 minuti un piatto di pasta mentre gli amici degli amici arrivavano e dopo 10 minuti stavano già mangiando. Forse potrebbe essere interessante poter "votare" a fine giro la qualità dei vari comitati/cibo/dormitori/pulizia. Ad esempio i bagni fanno spesso schifo, l'impressione è che nessuno vada a dare un occhiata e non riesco immaginare come sia la situazione dopo il passaggio di 150 persone.
Sto cercando di modificare il ritmo di corsa evitando di essere in strada sotto il sole a picco e cercando di pedalare al fresco della notte ma in verità la questione non è così semplice: innanzitutto il sole già alle 10 scotta e il caldo non cala almeno fino alle 18 , poi di notte comunque ti vien sonno....ma vedrò mentre pedalo. Le prossime due tappe verso Todi e Bolsena sono definite "poco impegnative" ma evidentemente dipende dall'orario di transito. Dopo Todi passiamo per la valle del Tevere, bellissima,
dove si concentra un po' tutta la storia dell'Impero Romano e mi sembra di risentire echi di battaglie, inseguimenti, Oriazi e Curiazi, il ratto delle Sabine. Ecco quelle sono rimaste forse, o qualche loro erede, però a parti rovesciate: nel caso odierno le giovani "Sabine" di colore cercano loro di cattuare qualche sesterzio dai viaggiatori erranti...anche se in bici. Vorrei fermarmi e fargli capire che almeno io ho ben altri richiami per la mente, che le forze sarebbero comunque scarse e che le moderne Sirene del "Controllo Segreto" non mi attraggono affatto.
Ormai siamo in centro Italia e dopo le 10 fa davvero molto caldo, io ho capito che è meglio pedalare in solitaria anche perchè il male al culo mi impone una condotta di gara pessima: in pianura devo pedalare di traverso tenendo praticamente sulla sella la coscia-chiappa destra che è la meno devastata altrimenti devo alzare la velocità visto che lo sforzo concentra maggiormente il peso sui pedali e mi fa meno male il culo, in salita sto quasi sempre sui pedali quindi con rapporto duro ed alta velocità, meno male che quest'anno ho già percorso più di 14000km e ho una buona gamba. Infine in discesa non pedalo affatto, mi riposo fino all'ultimo metro perchè è l'unico momento in cui non soffro. Mi sembra di essere un pianista che rimane all'ascolto delle ultime vibrazioni cromatiche che si spengono gradatamente alla fine di un brano. Ciclisticamente parlando il tutto è uno schifo soprattutto in una rando dove invece si dovrebbe procedere con regolarità e senza strappi.
 Arrivo a Bolsena dopo 870km alle 15,20 e mi faccio un bel bagno nel lago antistante: onestamente non capisco come possano resistere alla tentazione gli altri randagi...dopo tanto caldo cosa c'è di meglio che un fresco tuffo? Durante il pranzo parlo un po' con una ragazza alto-atesina che è la concorrente di Laura per la gara femminile. Approfondisco con lei la teoria dei microsonni sulla quale avevo già discusso con il mio benzinaio alla partenza da Carpi. Mi aveva raccontato che in America fanno questi corsi sia per militari che per atleti, per organizzare e preparare l'ora di sonno che, a sentire i neurologi, basterebbe per rilassare il sistema nervoso. E' un argomento che mi interessa particolarmente visto che è due notti che non dormo e mi rendo conto che questo non è molto salubre. Nel palazzetto di Bolsena infatti forse grazie alla mancanza di eccitanti, forse grazie al bagnetto e forse grazie alla stanchezza riesco a dormire un paio d'ore. Riparto ringalluzzito verso Pomonte in una delle mie tappe preferite: rivedrò l'ardita Pitigliano ma soprattutto la zona di Saturnia. Sono un appassionato frequentatore di terme e acque calde e questa è la zona che preferisco. Pedalo felice come un bombolone alla crema anche se gli strappi salendo verso Poggio Murella sono abbastanza ruvidi. Qualcuno dirà che in questa tappa molti hanno tagliato evitando strappi e kilometri ed in effetti forse un controllo a sorpresa qui ci sarebbe stato meglio che quello doppio nel Senese ma siamo al solito discorso: se uno vuole barare non c'è pezza di controllare tutto e tutti. Al passaggio a Saturnia non riesco a resistere, non scendo con la bici alla cascata anche perchè è sabato sera siamo nella settimana di Ferragosto e c'è un casino di gente, preferisco portarmi la bici nel canale che collega le piscine alla cascata e lì, in mezzo alle canne di bambù ed alla luce della bici, mi immergo per 10 minuti nelle paradisiache acque calde che spero abbiano capacità di lenire le mie ferite. Dovrei rimanere qui più a lungo, le acque sulfuree fanno miracoli sulla pelle, ma mi è bastato l'attimo . Lo spirito è rinfrancato , dopo tanta sofferenza arriverà anche il piacere ...viste le mie teorie sulla necessità di alternare entrambe le sensazioni non posso che essere felice di risalire in bici. In questo stato estatico vengo raggiunto da un ragazzo del nord-ovest della Germania zona dalla quale, non so perchè, provengono molti randagi. E' un tipo allegro e gli spiego in quali meravigliosi posti sta passando perchè non si è accorto di nulla concentrato come è sulla gara. Anche lui è della brigata di Jens che è riuscito a riparare la sua Cervèlo e ora sta lottando per essere tra i Top 10...non sapete come sarò dispiaciuto quando alla fine scoprirò che è arrivato solo 11°. Mi racconta che il Kaiser è un tipo molto competitivo, non l'avevo capito...., ma che sa gestirsi molto bene. Inizio a capire che a questa gente qua delle porte di Todi o delle Terre Senesi non gliene può fregà de meno, sono qui per arrivare il prima possibile e basta. Arriviamo a Pomonte dove però il tedesco mi comunica che lui vuole dormire e non riparte subito, intanto che siamo lì arrivano 4-5 randagi italiani che naturalmente presentano subito la carta di viaggio senza neppure scendere dalla bici. Gli faccio notare che siamo già lì da 5 minuti e che dovremmo prima timbrare noi ma lo faccio solo per proteggere il mio giovane amico che ci tiene molto alla posizione...io onestamente fino a quel punto non so neppure se sono quarto o trecentesimo. Apriti cielo, un italiano inizia a urlare e chiede, per sfottermi, di segnarmi un quarto d'ora in meno. Certe volte, anzi quasi sempre, mi vergogno di essere nato in Italia. Pomonte comunque è un piccolo agriturismo ma è anche il posto dove ho mangiato meglio. Almeno cercano di uscire dal monotono schema della pasta fredda più anguria che dopo un po' tendono a stufare. Una bella idea potrebbe essere di stimolare i comitati a proporre più piatti tipici locali come mi dicono si faccia alla Madrid Gjion. Comunque mi spazzolo due piatti di crema di zucchine con crostini e salame dolce al cioccolato. Sono davvero felice e chiedo ad un ragazzo Viennese se possiamo fare insieme la prossima impegnativa tappa con arrivo a Montalcino. Mi dice di sì ma dopo 5 minuti torna impaziente all'attacco, io so finendo di sistemarmi e lui mi lascia, premettendo di non prendermela ma che ha fretta perchè deve fare il tempo. Avrei preferito andare con qualcuno in questa tappa che attraversa il famigerato "Canyon" un pezzetto con tanto di attraversamento di fiume, in secca, e pezzi in sterrato in una zona abbastanza desertica dove se ti succede qualcosa corri il rischi di restare a terra per ore. Arrivato infatti al punto scabroso trovo alcuni ragazzini che stanno cazzeggiando in piazza godendosi il fresco notturno. Gli chiedo , esprimendomi male : allora dov'è sto buco di Polveraia? e loro la prendono male perchè non pensano assolutamente al Canyon ma al loro paesino...basta poco per non capirsi nella vita. Poi ci chiariamo e mi dicono di non preoccuparmi: infatti il passaggio non ha nulla di così pericoloso. Mentre mi avvicino alla salita di Montalcino incontro altri randagi tra i quali mi raggiunge ad un benzinaio Daniel un ventunenne di Manchester che sembra particolarmente spaesato. Capisco che è venuto qui per fare la gara con i primi ma qualcosa è andato storto ed ora traccheggia sul 30° posto. Anche lui è un indipendente, nel senso che non ha assistenza, ma ha comunque ben poco con sè , mi racconta che è un vero girovago delle due route ed è sponsorizzato dallo Sky Team così parliamo un po' delle olimpiadi e della rivalità tra Cavendish e Wiggins. Certo è un bravo tipo e pedala anche bene, insieme veniamo su belli arzilli verso il Passo del Lume Spento e superiamo anche il Viennese, però mi rendo conto quando gli chiedo dei Joy Division e di Jan Curtis, celeberrima band di Manchester, che non conosce molto altro all'infuori delle due ruote. Peraltro è uno dei 7 inglesi che non beve e non ha mai sentito nominare il vino di Montalcino...poi vai a fargli i percorsi storico-culturali...lo ripeto, la verità è che a questi interessa solo la gara tanto che alla fine intrippano pure me. Al controllo fa fresco e si sta bene così decido di fare un sonnellino tanto ormai ho la sveglia interna che mi fa ripartire appena ho rilassato la mente, anche senza corso USA. Alla partenza mi chiedono di scendere assieme Laura e il suo accompagnatore ma questa volta è lei che è lunga come solo le donne possono esserlo e dopo un po' parto da solo per immergermi in una splendida alba Senese. 
Capisco poi che esiste una qualche legge cosmica che punisce chi non rispetta i patti presi di accompagnamento: come era successo prima con il viennese ora è la volta di Laura di superarmi dopo aver snobbato il suo invito.
Provo ad andare a riprenderli ma non c'è più nessuna speranza, sono scomparsi. Arrivo verso le 8 al controllo di Castelnuovo Berardenga dove avviene il secondo e ultimo bag drop anche visto che abbiamo ormai passato 1000 km. Cavolo, mi penso, ho già fatto 1000 km ma tengo la cresta bassa anche perchè so che il pericolo maggiore è quello di sentirsi già arrivati e poi il dolore alle chiappe può aumentare da un momento all'altro e farei fatica a finire il giro. Laura piange perchè è stata male la sera prima e mi sembra un po' stanca soprattutto psichicamente, il ristoro è buono e mangio a più non posso: la prossima è la tappa della visita a Siena ed agli sterrati dell'Eroica. Di primo mattino fa già molto caldo e i pezzi in sterrato mi sembrano particolarmente pericolosi visto che ho i cuscinetti della ruota davanti che ballano . Così ci vado cauto anche perchè ci sono strappi veramente duri, entro comunque in Siena e dopo il controllo veniamo spediti per un giro turistico veramente insensato e pericoloso. Capisco al limite un salto in piazza del Palio ma dopo veniamo indirizzati verso il Duomo e altre bellezze locali: peccato sia domenica e i vicoletti lastricati in pietra pullulino di famigliole in gita-premio con bimbetti sguizzanti tra una vetrina e un gelataio...insomma il peggior posto dove girare con bici come le nostre.
 Finalmente esco da Siena e constato di aver fatto una grande fatica percorrendo 30km in tre ore e il duro della tappa deve ancora venire. Mentre mi arrovello sui motivi di queste variazioni Senesi arrivo al primo controllo a sorpresa dove giunge anche Fermo, al quale rappresento le mie perplessità sul tracciato Senese che però, dice lui, è colpa della contrada vincitrice del Palio che può decidere tutto...altri in seguito punteranno più verosimilmente il dito sullo sponsor principale della manifestazione, ovvero il Monte dei Paschi che avrebbe imposto il passaggio.
Fatto sta che compare anche Claudio, uno tra gli organizzatori dell'Eroica che avevamo già conosciuto alla Verna. Visto che è in giro e dobbiamo passare proprio davanti a casa sua ci propone di scortarci fino a Colle val d'Elsa dove proverà a sistemarmi i cuscinetti. Essendo lui nel direttivo di Audax Italia abbiamo il modo di parlare sulla manifestazione in particolare e del movimento rando in generale. Mi racconta della situazione che si sta creando per cui molti atleti si stanno spostando dalle Granfondo alle Randonnee perchè ormai c'è più copertura mediatica nelle gare di durata ed è difficile, sempre più difficile, rispettare lo spirito Rando anche se non dobbiamo dimenticare che la Paris-Brest è nata come gara competitiva. Comunque Claudio è davvero gentile, stringe un po' i miei cuscinetti e ricarica di acqua fredda anche la coppia anglo-svedese mentre il buon Fulvio Gambaro si è fermato per sistemare la forcella di un altro randagio in difficoltà. Ripartiamo verso San Giminiano dove forse ho incontrato le temperature più alte del brevetto...Johann , lo svedese con il quale sto pedalando, mi dice che da loro c'è stata un'estate pessima con temperature massime a 20-23 gradi e immagino cosa possa dire salire su certi strappi a 43°. Infatti appena arrivato al secondo controllo segreto si infila col suo socio alla ricerca di un bar con l'aria condizionata mentre io preferisco rinfrescarmi ad una fontanella. Riparto con calma pensando che il peggio è passato e invece per arrivare a Montaione faccio veramente molta fatica a causa non solo della temperatura ma anche delle strade diritte senza uno schifo di tornante per rifiatare. Arrivo su distrutto e scopro che questo sarà il controllo con il comitato più antipatico del brevetto. Alla richiesta di una doccia il CapoBastone locale si incazza perchè nessuno dell'organizzazione gliel'ha chiesta e invece sarebbe stato possibile averle... ma non poteva arrivarci da solo che in giornate così calde e dopo una tappa del genere uno si sarebbe rinfrescato volentieri? Poi dice che comunque c'erano già le docce al precedente controllo (6 ore fa...). Davanti al chiosco-ristorante c'è sì una fontanella ma si è staccato il tubo e nessuno sembra interessato a riattaccarla, ma Lui ha fatto la PBP tre volte e là le docce non ci sono ...mi risulta che ci siano a pagamento ma non può evidentemente paragonare le temperature della Bretagna con le bolle di calore incontrate oggi. Mangio male scambiando qualche parola con Fulvio, poi viene uno degli accompagnatori che gironzolano nei controlli e che essendo già lì da tempo hanno anche una visione più completa della gara. Dice che ci sono un po' di sospetti sui risultati sia dell'austrico con le sue due belle moto di accompagnamento sia su Laura col il camperino di papi sempre dietro al culo. Provo a dormire un po' ma fa davvero molto caldo e così riparto con le palle girate: medito seriamente di tornare a casa, il dolore al fondoschiena è veramente forte, sono tutto una piaga e stare lì a soffrire col pensiero che ci sia qualcuno che gioca sporco mi da molto fastidio.
 Intanto vado su verso la ferrovia Pisa-Firenze poi vedrò. A un certo punto mi telefona mia moglie che in effetti non sento da giorni perciò mi fermo e scopro che a bordo strada ci sino more succose delle quali faccio una scorpacciata. Nel frattempo arriva un rider che vaga senza molta cognizione visto che in effetti in questa zona la frecciatura è veramente pessima. E' di Verona, ha 60 anni ed è bello tosto. Decidiamo di andare a mangiare qualcosa ad Altopascio dove dopo parecchi giri troviamo una pizzeria al taglio aperta. Scopriamo che entrambi abbiamo fatto il paracadutista e questo rinsalda l'amicizia: peccato che subito all'uscita del paese ci perdiamo. Io torno indietro a cercarlo per 20 minuti ma poi riparto, dice che è passato un gruppetto e si è accodato: non sono geloso e anche io ritrovo la coppia anglo-svedese con la quale risalgo verso Castelnuovo Garfagnana. La strada è trafficatissima e alcuni la scambiano evidentemente per una pista di velocità...in più è intasata di traffico malgrado sia passata la mezzanotte. Arriviamo su nel caos più totale, tutti i cartelli dell'organizzazione sono scomparsi nella sagra locale. C'è un casino di gente per strada, gente che suona, discoteche a manetta. Mi ricordo allora che la Garfagnana ha la fama, come la Lunigiana, di essere un posto un po' particolare, qui ci sono i cavatori di marmo di Carrara e molti anarchici e culturalmente si discostano sia dai toscani che dai liguri. Mangio una pizza con Giancarlo e poi ci ritiriamo nella palestra dove troviamo delle ottime brande libere. Alle 4 sveglia e si riparte subito in salita verso Aulla, albeggia tra picchi selvaggi e verdi boschi con le bianche Alpi Apuane sullo sfondo. Sono estasiato ma rimango veramente colpito dalla bellezza del lago di Minucciano
 ma anche da un tipetto che ci sorpassa in bici a doppia velocità facendo "yopp, yopp", penso sia uno dei randagi di punta che ha avuto qualche problema meccanico e adesso sta risalendo la corrente. La discesa su Aulla è spettacolare ma fredda, il posto di controllo piazzato in un bar dietro ad un distributore assolutamente non segnalato ma comunque sono felice di esserci arrivato e di non essermi arreso dopo Montaione: oggi potrebbe essere l'ultima giornata di viaggio e resta "solo" lo scoglio delle due tappe liguri.
Qualcuno ieri sera aveva anche predetto che "però la Liguria non è così calda, c'è sempre una brezzolina dal mare".Li mej cojoni... Forse a Sanremo a marzo ma oggi alle 10 quando azzanno la salita verso Levanto, con pendenze importanti, la temperatura sale velocemente. A metà resto senza H2O e non c'è nessuno poi per fortuna sbuca una fontanellina dalla roccia che mi salva la vita. Scendo su Levanto e decido che non posso ripartire senza aver mangiato una focaccia ligure così mi fiondo sul primo supermercato aperto dove ne compro un bel pezzo assieme a pesche e uva delle quali sono ghiotto ma che in questi ultimi giorni non ho trovato. Mentre sono lì che pasteggio come un clochard nel parcheggio arriva una coppia di milanesi che sanno tutto sulla 1001 miglia anche perchè lui va in bici e abitano vicino a Nerviano, belìn finalmente qualcuno che non mi da del matto. Riparto così verso la seconda parte della tappa che arriva a Deiva e che il tipo di Londra mi ha tratteggiato a tinte molto fosche. In effetti il primo pezzo al 10% sotto a questo sole è abbastanza antipatico poi si trova qualche albero che mi permette di evitare lo "slalom dell'ombra "ovvero la pericolosa pratica di spostarsi verso la sinistra della carreggiata, contromano, per trovare qualche metro di refrigerio.
In qualche modo arrivo a Deiva, posto di tappa dove hanno piazzato il ristoro tra due capannoni dove ci saranno 50°, nei bagni è tutto uno spalmamento generale di cremine tra gli organi genitali e chi vi capitasse per caso penserebbe forse ad una banda di gay arrapati più che dei ciclisti...comunque solito schema doccia, cibo e riposino con ricarica batterie ma fa veramente molto caldo e non vedo l'ora di arrivare così risveglio Giancarlo per farlo ripartire. Lui sta russando alla grande anche perchè da buon produttore di vino veneto quando può beve anche qualche "ombra" e poi a 60 anni ma è un duro e riparte: non lo rivedrò più e mi dispiace.
Ci si arrampica al passo del Bracco dove fa un caldo schifoso tanto che vedo delle querce seccate dalla siccità, la litoranea di Sestri è un incubo di traffico alle 18 e così sono proprio contento di iniziare la salita verso il passo della Scoffera che inizia blandamente ma poi alla fine ha la sua difficoltà soprattutto a causa di nugoli di insetti tipo tafani o roba del genere . Arrivo al controllo di Casella poco dopo le 20 e trovo due superstiti della truppa di Jens con i quali decido di fare le ultime due tappe. Veniamo giù a balla su 40kmh verso il Mausoleo di Coppi che trovo un po' eccessivo. Se penso, chessò , alla modesta statua che da sola adorna la casa nativa di papa Giovanni 23° trovo che per un ciclista, anche se per un grandissimo ciclista, si potrebbe tenere un profilo più modesto. Così non esco neppure con Tom a vedere la tomba e infatti lo spirito del luogo mi punisce velocemente: appena ripartiti mi si rompe la catena , cosa mai successa in 5 anni che vado in bici. In più scopriamo che sia lo smaglia catena che la falsa catena che abbiamo in dotazione sono inutilizzabili visto che sono ormai misurate per le catene da 9/10 velocità mentre io ne monto ancora una a 8 velocità. I ragazzi rimangono con me una mezz'oretta poi quando è chiaro che non c'è nulla da fare mi salutano invitandomi a raggiungere il Mausoleo dal quale siamo partiti dove almeno troverò da dormire. Sono veramente triste, dopo aver fatto tanta fatica e a pochi km da Nerviano di ritrovarmi per la deserta campagna con la mia bici senza catena. Per fortuna la prima macchina che passa è guidata da Alessandro giovane studente di ingegneria al Politecnico di Milano che mi ospita a casa sua, i genitori sono in vacanze, e la mattina dopo viene con me da un ciclista di Tortona che rapidamente mi rimette una nuova catena: è bello scoprire che esistono ancora buone persone a questo mondo e non posso che ringraziarlo che con il famoso proverbio buddista: se fai del bene, il bene torna; se fai del male, il male torna.
Rieccomi verso le 11 a trebbiare sotto al sole questa volta padano ma non per questo meno caliente di quello tosco-umbro-ligure o di chissà dove: fa caldo e basta e sono ben felice di aver finito la mia avventura. La foto sul ponte di chiusura questa volta è su quello storico di barche sul Ticino.
 Alle porte di Milano mentre chiacchiero con un tipo di Poggibonsi veniamo raggiunti dal gruppone italiano con i gemelli Mazzucchelli, Simona, Jimmy e tutti gli altri. E' bello arrivare così in compagnia e sono felicissimo di aver completato questa grande sfida. Nelle docce un tedesco euforico ha ancora voglia di scherzare e commenta la sua abbronzatura come un omaggio agli amici polacchi visto che ha le gambe rosse come fragole e i resto del corpo bianco come neve.
Cosa rimane di tutta questa avventura? A chi mi chiedeva prima di partire quale fosse la motivazione di questo sforzo, citavo nominando Il vecchio e il mare  di Hemingway, ovvero la voglia di sentirsi ancora vivi. Sono partito per arrivare e mi sembrava un sogno continuare a pedalare bene nella mia prima over 1000 poi quando mi hanno detto che ero 30° mi sono anche un po' gasato. Beh la rottura della catena mi ha riportato velocemente a terra. Sono contento di aver fatto tanti amiciz che spero di re-incontrare, a Dio piacendo, l'anno prossimo alla Londra-Edimburgo.
Forse rimane la constatazione che certamente per finirla ci vuole una notevole preparazione fisica e logistica ma dopo i dolori patiti negli ulti 1000km ho capito che nelle rando, come peraltro nella vita, ci vuole sempre anche un po' di culo...

mercoledì 1 agosto 2012

Sopra e sotto al ponte.


La parola che, secondo me, meglio sintetizza la seconda edizione della randonnée Verona-Resia-Verona è "ponte": perchè indubbiamente la valle dell'Adige rappresenta un ponte tra Padania e Alpi, perchè il passo Resia è un ponte naturale verso Austria e Svizzera, perchè di ponti sopra l'Adige ne abbiamo passati a pacchi, perchè un ponte, quello di Brest, resta comunque il simbolo di questa folle passione e last but not least perchè proprio di un ponte avrei avuto bisogno la mattina di sabato 21 luglio per uscire di casa e iniziare questa nuova avventura. 

Vale proprio la pena di raccontare come sono arrivato alla partenza: ero gentilmente ospitato a casa di amici tatticamente abitanti a 300mt dalla partenza, sveglia alle 4, colazione pantagruelica e via verso la bici già pronta....peccato che la bella porta in ferro battuto di casa non ne voglia sapere di aprirsi, provo per qualche minuto con intensità sempre maggiore ottenendo solo il risultato di spannare definitivamente la serratura. A questo punto tiro giù dal letto il padrone di casa, visibilmente entusiasta per la sveglia antelucana e per la bella notizia della porta rotta. Anche lui vaga per la casa come uno spettro Shakespeariano alla ricerca delle chiavi e alla fine da buon veronese, gente da sempre esperta in scale e balconi, mi invita a levarmi dalle palle indicandomi la finestra della cucina. Per fortuna siamo al primo piano, mi calo su un tetto e poi mi scartavetro su un lavandino dopo aver buttato la sacca con i miei stracci. Insomma in qualche modo riesco a uscire mentre loro dovranno chiamare i vigili del fuoco per farlo e in questo stato d'animo" a là Indiana Jones" mi trascino verso il Palazzo dello sport dove i primi randagi sono già in partenza. Saluto qualche faccia nota mentre molti altri che so essere presenti non li vedo...qualcuno lo incontrerò strada facendo mentre altri faranno un giro parallelo. Meno male che comunque avevo già provveduto nel pomeriggio alle burocrazie dell'iscrizione così riesco a partire col secondo gruppetto cosa che mi permette di trovarmi in pochi minuti col gruppone dei primi. Certo perchè, alla faccia della presunta non competitività delle rando, quelli del secondo gruppo partono a manetta col chiaro intento di non restare staccati e ci troviamo subito ai 35 all'ora a slalomare tra i pali delle ciclabili veronesi. Queste sono veramente tante e anche molto trafficate, come scopriremo la domenica mattina al rientro, ma alle 5 siamo liberi di arrampicarci tra ponticelli passaggi da andrenalinic-park e strappi micidiali per raggiungere il lago di Garda. Qui spira una brezza contraria che convince tutti a mettersi a ruota, ciucciando con parsimonia le scie dei colleghi anche se in molti non tirano neppure un metro. Lo sguardo di tutti vaga alternativamente tra strada e cielo visto che la grande incognita del giorno è rappresentata dalle preoccupanti previsioni meteo. Considerando che quella della meteorologia è una delle mie passioni, quasi un obbligo per chi passa varie ore in bici, mi ritrovo con piacere a confrontarmi con un esperto randagio che mi assicura di fidarsi solo delle previsioni svizzere che sono tanto ottimiste da convincermi al volo. Il problema è rappresentato dalla discesa serale-notturna da passo Resia, zona notoriamente fresca di suo, ma che sarebbe decisamente critica in caso di acquazzone. Va bene prendere acqua sulla ciclabile della Val d'Adige, cosa che succederà più tardi, ma in discesa a 1500mt sono kazzi...Comunque poco sotto Rovereto ci immettiamo sulla famosa ciclabile della val d'Adige dove possiamo per l'appunto vedere le tracce di una tempesta di grandine che ha spolpato le vigne, ha divelto alberi e riempito la ciclabile di rami di acacie con relative spine, pericolosissime fora-tubolari. Ne sa qualcosa un randagio valdostano che incontro salendo verso Resia, e che già al Tourblanc aveva dovuto inseguire causa foratura nei primi chilometri, il quale gira conciato come un ciclista vintage-eroico con un copertone arrotolato sulla schiena dopo aver forato due volte proprio in quella zona.
Dopo il bicigrill di Nomi arriviamo comunque a Trento e qui mi capita la seconda avventura. Come al solito eravamo fuori dalla traccia con un gruppetto di quelli che "vanno a naso" senza road book nè GPS, decido allora in solitaria di crossare sulla sinistra per tornare sulla retta via ma mi trovo su un ponte che scavalca elegantemente la sottostante pista ciclabile: che fare? vedo poco avanti un nuovo ponte e decido di proseguire ...peccato che la strada sia un provincialone vietato alle bici. Mi avventuro così su un tratturo di campagna che porta alla discarica comunale, poco male se non fosse che dopo aver issato di forza la bici sulla strada scopro che la zona è tutta un lavori-in-corso e lo è anche il mio agognato ponte. Lo raggiungo e scopro che è ancora allo stato scheletrico come potete vedere dalla foto.
 Evidentemente non mi do per vinto ma quando già pregusto il ritorno sulla ciclabile, sulla quale vedo sfrecciare a pochi metri ciclisti di ogni fattezza, scopro che la fine del ponte è stata chiusa con cura da impenetrabili reticolati di ferro, manco fossimo in guerra. Sotto passa l'Adige, anche bello in piena, e non so letteralmente che fare. Di tornare indietro comunque non se ne parla così scaravento il ciclo fuori dal parapetto e sempre tenendolo con una mano mi esibisco in un passaggio di quinto grado degno di Messner. Basta un niente perchè io e la bici si precipiti nell'Adige in piena col rischio di essere ripescati verso Castelvecchio a Verona con l'effetto tipo "torna alla partenza"del gioco dell'oca. Per fortuna va tutto bene e trovo un gruppetto che sta risalendo verso il secondo controllo di Salorno. Qui la condizione meteo si fa preoccupante e molte sono le previsioni sulle conseguenze del temporale che già inonda la Val di Non. In ogni caso a breve le nostre ipotesi sono sommerse da un muro d'acqua che ci inonda appena entrati in zona sud-tirolese ovvero appena varcato il "confine" di Mezzocorona. Al bicigrill di Salorno vedo che molti navigati randonneur se la prendono giustamente comoda, cogliendo l'occasione per una bella mangiata, io invece proseguo alla caccia di altri randagi visto che ho stabilito di arrivare abbastanza velocemente a Merano per prendermela più comoda dopo. Mi infilo quindi sulla variante verso il lago di Caldaro sulla quale, e qui condivido i dubbi di Parakito, ho l'impressione che più di un partecipante non sia transitato. Chittelofaffà infatti di infilarti sulle strette e irte ciclabili che scorrono tra meleti quando c'è una comoda ciclabile-provinciale che sale a Merano? Quelli che sicuramente non demordono sono gruppi di ciclo-viaggiatori di fattezze prevalentemente nord-europee che pedalano come niente fosse sotto la pioggia. Chapeau per loro e per il mio nuovo campanello che sfoggio ad ogni gruppetto familiare venendo ripagato dallo sforzo per montarlo.
Prima di Merano uno del nostro gruppetto, visto che nel frattempo ha smesso di piovere, decide che per riscaldarsi non c'è cura migliore che "alzare un po' l'andatura" ci ritroviamo così ai 40 all'ora dietro a questo stantuffo raffreddato nella speranza che si scaldi al più presto. Arriviamo comunque verso le 13 e 30 Merano non prima di non esserci persi svariate volte alla ricerca del famigerato Athletic Club. Lì vedo che qualcuno timbra, mangia un panino e via verso passo Resia e onestamente non so se ammirarli o biasimarli...ancora così fradici, senza neppure cambiarsi...boh ognuno comunque interpreta il viaggio come vuole. Personalmente mi fermo circa un'oretta, mangio qualcosa che mi ero portato, mi cambio e riparto verso la parte più dura del percorso.
La salita a passo Resia viene descritta come ripida all'inizio, poi pianeggiante poi ancora dura nel finale. Io riesco ancora a perdermi uscendo da Merano visto che le tracce GPS si incrociano ma poi mi trovo sulla splendida ciclabile che porta alla Val Venosta. Sono felice mentre pedalo tra paesini curati, boschi e montagne su una bella ciclabile: è bello vedere che c'è ancora qualche zona, quasi italiana...che apparentemente funziona ed è ben tenuta. Il controllo di Lasa è su uno splendido laghetto con tanto di timbratice in costume tirolese. Sarà il nome del paese, la mia maglia "Free Tibet" o la vista del convento di Santa Maria Maria a Burgusio che mi ricorda il Potala ma ho quasi l'impressione di essere in un distaccamento Tibetano. 

Mi riportano alla cruda realtà le micidiali sparate della salita, onestamente un po' eccessive per dei randagi carichi come muli dopo 300km. Al ritorno noto infatti che molti preferiscono salire sulle sinuose ma decisamente più pedalabili curve della strada statale. Pure io, anche se per errore e seguendo l'eroico valdostano di cui sopra, mi ritrovo a fare qualche tornante sotto le pale delle turbine che rovinano ulteriormente una zona già ampiamente deturpata dall'uomo che vi ha piazzato un lago artificiale il quale ha sommerso , tra l'altro, la famosa chiesetta di Curon. Ma è poi vero che tutti usiamo l'elettricità e da qualche parte bisogna comunque produrla...

La serata è splendida e scoprirò solo al ritorno che in effetti la val Venosta è la zona meno piovosa dell'arco alpino e che grazie a questa caratteristica le mele locali sono così croccanti. Al controllo mi concedo un bel piatto di penne al pomodoro anche perchè sento di avere un netto calo di zuccheri. Indosso tutto quello che ho nelle borse e non mi sbaglio perchè la fama di zona fresca non è immeritata e anche sono solo le 19 fa già freddo in discesa, non mi stupisce che fra quanti sono passati più tardi ci sia stato un caso di ipotermia. Rientro verso la zona di Malles che trovo molto piacevole mentre nell'immaginario collettivo degli Alpini bergamaschi la locale caserma era considerata come l'anticamera dell'inferno. Glorenza è ancor più bella e la mia personale fascinazione verso la val Venosta viene accresciuta dalla constatazione che spira un bel vento a favore, vento da nord che mi accompagnerà piacevolmente lungo quasi tutto il ritorno.
Dopo il ricontrollo di Lasa decido che la ciclabile è una bellissima invenzione di giorno, in salita o in pianura, con la famiglia ecc. ma di notte e in discesa è meglio la classica statale seppur trafficata . Della mia stessa opinione sembrano essere altri stagionati randagi con i quali scendo fino a Merano. Qui la palestra dell'Athletic Club si è trasformata in un surreale dormitorio con ciclisti addormentati tra panche, rulli e bilancieri. Decido che sto bene e voglio pedalare da solo nella notte così mi do una risciacquata, mangiucchio qualcosa, mi vesto un po' più pesante e mi srotolo verso Bolzano per la parte finale del giro. Riesco ancora a perdermi per uscire da Merano, Teufel!!, e contemporaneamente constato che la catena è totalmente secca. Non ho olio perciò mi fiondo in un ristorantino che sta chiudendo e chiedo ad una famiglia di Schützen se hanno un po' di olio da cucina da imprestarmi. I tirolesi guardano tra l'incredulo e lo sdegnato l'Orribile Ciclista Notturno Italiano e mi squadrano come un marziano...mi sembra di essere Aldo nella famosa scena della "Cadrega" nel fil 3 uomini e una gamba. Per fortuna viste anche le 4 parole 4 di tedesco che sfoggio mi concedono un fondo di bottiglia di olio da friggere che per me è oro colato. Il padrone esce per sincerarsi delle mie attività oliatorie e credo di leggere nel suo cervello cosa pensa di un disperato cinquantenne che passa il sabato notte a pedalare anche perchè è anche quello che mi ripete mia moglie: tu si pazzo!!
Comunque con la mia catena bella oliata e il vento a favore scendo verso Bozen a manetta, imbocco bene la val d'Adige e scendo in solitaria ai 30km/h verso il controllo di Salorno. L'Adige è lì tranquillo ma verso Egna non posso non ricordarmi le toccanti parole scritte in memoria di una fatale alluvione all'ingresso della casa dove avevo trovato, in gioventù, lavoro come raccoglitore di mele:(mi perdonino gli amici veneti per gli errori ortografici...)
Da quand ch'al vecio Ades
l'ha sbregà fora i tomi
sem pieni de pacioca
no i vien p'ù gnanca i Pomi
traduzione : Da quando il vecchi Adige ha rotto gli argini siamo pieni di fango e non ci sono più neanche le mele...
Trovo il controllo di Salorno decisamente più sguarnito, ora al timbro ci sono due ragazzotti più o meno alticci e continuo subito per la mia discesa; a San Michele non posso non fermarmi per immortalarmi sotto al ponte Calatravante che offende l'Adige. 
A Nomi invece il controllo con l'ipotetico ristoro è composto da un misero timbro autogestito, tutto chiuso troveremo anche all'ultimo controllo "segreto", meno male che ho le mie scorte. La salita di Brentonico della quale si era tanto parlato si riduce in 6-7 km pedalabili in un alba splendente, piuttosto mancano assolutamente le indicazioni come pure il senso di questa salita sui contrafforti del monte Baldo per poi rituffarci subito verso l'Adige...forse sarebbe stato meglio rimane in quota e scendere più avanti, piuttosto che inserire gli strappi tagliagambe vicino a Verona come quello della Dogana. 

Ho fatto una piccola inchiesta e quasi nessuno di quelli arrivati con me aveva seguito le indicazioni del Roadbook trovando decisamente più comodo tirare dritto verso Verona evitando stradine strette, pericolose a causa dei sassi e della ghiaia nonchè ipertrafficate da mandrie di manzi da granfondo intenti nella sgambata della domenica mattina. Insomma in una rando tanto ben organizzata credo che il percorso nel finale vada un poco rivisto...capisco la volontà geografico-didattica di seguire il corso del "vecio Adès" dalla sorgente all'Arena ma credo che il randagio standard dopo 550 km e magari una notte in bianco alle bellezze esplorative preferisca una pianeggiante & tranquilla strada anche non ciclabile che lo conduca verso l'agognata doccia finale.
Rientro al Palasport verso le 10 e dopo un'ottima doccia e un buon ristoro sono pronto al ritorno all'ovile, anche questa 600 è andata e ora sono pronto per smazzarmi la 1001 miglia...che la Scala di Verona di assista...