"Les Conquérants de l'Inutile" in sella alla ricerca dell'illuminazione.
domenica 21 ottobre 2012
mercoledì 5 settembre 2012
Giove Pluvio e la Harley Davidson
Vado o non vado? Ma dai ne hai già
fatte tante quest'anno, poi hanno previsto pioggia e freddo, resta a
letto e passa una tranquilla domenica in famiglia! E se poi invece
esce una bella giornata, mi sono già iscritto e se tutti facessero
così chi le organizzerebbe più le rando....
Alla fine però il richiamo istintivo
del Randagio ha la meglio e alle 5 di mattina sono già sveglio e
pimpante per essere alle 7 a San Lazzaro. Là intravedo qualche
faccia nota ma il colpo è quando vedo un pullman intero di Randagi
di Lecco venuti apposta per il brevetto, complimenti. Durante i primi
blandi km parlo con qualcuno di loro già conosciuto alla Rescarando
che mi invita caldamente a partecipare alla loro manifestazione:
piacerebbe alla grande a Genonimo Stilton visto che si chiama
"Formaggilandia", boh vedremo come butta nel 2013. Nella
prima ora conosco anche il mitico Miguelon al quale faccio i
complimenti per essere venuto fino a Bologna per chiudere la
stagione. "Chiudere la stagione?" mi guarda furbetto
"veramente mercoledì parto per la Francia per la "1000 du
sud in Provenza"....che invidia!!
Poi spiego a Jimmy, che organizza la
Rescaldina, quello che gli avevo proposto scherzosamente negli
ultimi km della 1001 miglia ovvero di patteggiare con Fermo Rigamonti
uno scambio climatico tra le due rando. Per ora qui il tempo tiene e
Giove Pluvio trattiene le sue umide armate. Dopo il buon ristoro al
km 85 a Palazzolo sul Senio si inizia a ballare: Sambuca, Giogo e
Raticosa una dopo l'altra sono tre belle salitelle
....in più con il
mio socio di Bologna sbagliamo, come fanno in molti, un bivio per
Scarperia e quindi ci sciroppiamo una decina di km in più di quanto
previsto dal Roadbook, a proposito del quale avevo già avuto uno
scambio di mail con Sergio, organizzatore del brevetto, che è un
tradizionalista e non vuol dare tracce GPS. Opinione
rispettabilissima se non fosse che ormai i Randagi solo cartacei sono
pochissimi e se una traccia GPS è fatta bene e sicura secondo me è
anche meno pericolosa che il leggere cartine e mappe, a meno di
fermarsi a ogni incrocio...poi Sergio si lamenta di aver rischiato
una multa perchè i caramba volevano sanzionarlo per "imbrattamento
del suolo pubblico" mentre stava frecciando il brevetto! Motivo
in più, penso io, per incentivare e diffondere l'uso del navigatore.
A questo punto del Mugello le uniche
due variabili negative sono rappresentate da Giove Pluvio, che l'anno
scorso mi inzuppò come un babà dalla Raticosa a Bologna, e i
motociclisti che infestano la zona: per fortuna sembrano entrambi ben
disposti oggi e malgrado qualche nuvolaccia e qualche curva tagliata
dagli emulatori del "Valentino nazionale" tutto va bene.
L'unico piccolo incidente è uno strascico della rottura di catena
alla 1001 miglia; in cima al Giogo
incrocio inavvertitamente la
catena sulle due corone grandi e tutto si blocca: evidentemente la
nuova catena montata velocemente a Tortona è troppo corta ma sistemo
il cambio con l'aiuto di un randagio strappato alle mollezze del bar
e riparto al volo.
All'ultimo ristoro-controllo incontro
un ragazzo di Senigallia e padre e figlio di Bologna con i quali
vorrei arrivare in fondo al brevetto ma qualcuno di loro è stanco e
arrivo così da solo....stranamente malgrado l'errore di Scarperia
sono il terzo al traguardo e così mi gusto particolarmente lo
spiritoso attestato di Randagio
che corona la mia prima stagione: ho
fatto 3 200km, la 300 di Rescaldina, la 400 di Lugo, le 600 di Verona
e Biella e la 1001 miglia. Sono contento e già faccio programmi per
il 2013 dove avrei la Londra-Edimburgo-Londra come obiettivo
principale ma intanto bisogna tornare a lavorare e c'è un bieco
inverno da superare....una cosa per volta, per ora mi rallegro delle
tante persone incontrate e dei bei posti che ho potuto scoprire
vagando sulla sella, privilegi che solo l'andare lento della bici
permette.
Parafrasando de Andrè "pensavo
è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo
incominciare una bicicletta... "
giovedì 23 agosto 2012
Tutti i raggi dell'Italia
"Très chaud, très long, très
dur" questa sintetica definizione della 1001 miglia letta su un
forum francese pochi giorni prima della partenza mi è ronzata per la
testa a lungo. Il gallo-randagio aggiungeva alle tre difficoltà la "
fameuse organisation italienne (si, si!) " ma questo giudizio
credo dipenda da incomprensioni storico-culturali tra vicini visto
che, mentre le prime tre difficoltà sono in effetti emerse alla
grande, l'organizzazione non mi è sembrata malaccio: certo si può
sempre migliorare e a questo fine, stimolato anche dal patron Fermo
Rigamonti, butto giù qualche ricordo/sensazione/critica di
un'avventura durata fisicamente quasi cinque giorni ma che
mentalmente mi assillava da qualche mese. Certo perchè una pedalata
di 1632km non la si improvvisa e alla fine il risultato, al saldo
delle sfighe sempre in agguato, non è che la somma di tutta la
preparazione atletica e logistica.
Ma non vorrei farla troppo lunga perciò
arriviamo a bomba a Nerviano lunedì 16 agosto dove la banda mondiale
di ciclo fachiri si sta già bollendo anima e corpo nell'hinterland
milanese dove troviamo gioiellini quali il Monastero degli
Olivetani, testimonianza della antica bellezza di questi luoghi
particolarmente aggrediti oggi dal selvaggio sprawling urbano, e sede
del Municipio e del "controllo mezzi" che in realtà
consiste nella consegna dei pacchi gara e delle varie formalità
burocratiche, testamenti ecc. Lì apprendo subito una brutta notizia,
che parrebbe confermare le basse insinuazioni francesi di cui sopra,
ovvero che la mia maglia-salopette ufficiale benchè preventivamente
prenotata, non c'è ma mi verrà spedita a casa solo a fine
settembre. Vabbè, posso sopravvivere e ho ben altri problemi da
risolvere al momento tra roadbook e bag drop: per chi non lo
conoscesse il primo termine indica le varie stazioni del nostro
calvario mentre il secondo è il trasporto di borse verso due
località situate lungo il brevetto. Sembrano due elementi
ciclisticamente secondari ma in verità sono molto importanti visto
che determinano la strada da percorrere e cosa portarsi appresso
nelle borse. Il percorso è segnalato sia da frecce pitturate sulla
strada, vedi foto,
sia tramite apposito roadbook con scritte tutte le
varie svolte,direzioni, incroci infine vengono fornite tracce GPS per
i navigatori che ormai quasi tutti i ciclo randagi utilizzano: beh
,uno da fuori dice" allora non puoi sbagliarti" invece la
realtà è differente. Intanto le tracce sono in bianco ma
soprattutto sono state tracciate forse in eccessivo anticipo e sono
difficilmente visibili. A qualche incrocio mancano e non sai mai se
sei sulla strada giusta. Il roadbook anche lui viene stampato mesi
prima ma nel frattempo il Comune di Pincopallazzo ha deciso di
riasfaltare le strade mentre in quello di Vacondio c'è stata
un'alluvione e si capisce che non è possibile ristampare tutto ogni
volta, così ci sono sempre modifiche al percorso che vengono
certamente spiegate dagli organizzatori durante il briefing
pre-partenza ma che io puntualmente dimentico, preso dalla foga
ciclistica, e mi trovo poi puntualmente a vagare senza senno come
l'Orlando Furioso nella campagna di Todi a 40 gradi. Il sistema che
uso è quello del navigatore GPS che però ha anche lui le sue belle
disgrazie: innanzitutto le tracce devono essere aggiornate e precise
poi finiscono le pile o il navigatore si impalla insomma il tutto va
interpretato. Bisogna essere anche dei cartografi in questi
brevetti...
Il secondo problema, ovvero quello
logistico, scava già un fondamentale solco tra chi ha una macchina o
camper che lo assiste e gli porta ricambi, cibo e altro e chi invece
si sgrugna tutta la pedalata in solitaria quindi portandosi appresso
3-5 chili in più: e quei chili con più di 16000 mt di salita
diventano alla fine macigni. Quello che propongono alcuni stranieri
incontrati sarebbe di stilare due classifiche separate: una con e
l'altra senza assistenza. In qualsiasi caso bisogna essere molto
precisi e preveggenti nel dosare quanto mettere nelle borse per
evitare da una parte di rimanere bagnati, affamati, ghiacciati o
senza pezzi di ricambio e dall'altra di girare con 10kg di zavorra.
Anche qui l'esperienza è fondamentale, oserei dire come per tutto
nella vita. Purtroppo sono un pivello e per quanto ascolti e legga i
consigli degli esperti faccio sempre qualche cavolata: comunque sia
ci troviamo sulla pista dello stadio di Nerviano pronti per la
partenza che avviene alla francese ovvero a gruppi di 25 ciclisti
ogni 10 minuti.
Credo che ciò sia fatto per evitare intasamenti da
gruppone ma il risultato è uno spingi-spingi per essere più avanti
visto che se il primo gruppo parte ai 30 all'ora il secondo va ai 35
e il terzo ai 40 per raggiungere quello davanti con il risultato che
dopo 40km siamo comunque in una settantina. Qui prendono decisamente
in mano la situazione i tedeschi che sono, si sa, molto organizzati e
compatti, sembra di rivedere su due ruote la situazione politica
europea. Lo spread ciclistico è palese quando al 50° km in punto i
crucchi si buttano tutti a lato all'urlo di "pipì,pipì...e chi
non piscia in compagnia..." ma al 63° ci hanno già ripreso.
Corrono bene sti tedeschi, doppia fila, cambi regolari e se a
qualcuno cade qualcosa, ad esempio, si fermano tutti, lo aspettano e
tornano sotto. Noi italiani sia più individualisti e forse egoisti
ma certo queste dinamiche applicate su larga scala spiegano perchè
le cose vadano così male dalle nostre parti e bene dalle loro. A un
certo punto prendono una direzione diversa da quella prevista e sia
io che l'amico Fausto proviamo a chiederne il motivo: facciamo così
la conoscenza di un energumeno stra-tatuato che dirige la squadriglia
tedesca. Compare così in questa cronistoria la figura di Jens del
quale parlerò ancora a lungo: basta intanto accennare che il
"Kaiser" non risponde neppure alle nostre contestazioni e
continua a tirare imperterrito con un suo socio in recumbent (sono le
bici reclinate dove si pedala da sdraiati ed esseno molto
aerodinamiche sono molto veloci in pianura ma scomode in salita). Mi
piace vedere come corrono i tedeschi che sono evidentemente ottimi
passisti: per forza vivendo magari a 300 km dalla prima montagna non
posso che essere allenatissimi in pianura. Parecchi montano anche le
protesi sul manubrio da triathlon, espressamente vietate dal
regolamento che viene evidentemente applicato all'italiana ovvero
con roboanti dichiarazioni teoriche alle quali non corrisponde alcuna
pratica. La stessa cosa vale per la velocità massima consentita
sulla quale Fermo ha insistito solo poche ore prima: di solito nelle
randonnee è tollerata una velocità media dai 15 ai 30kmh in questo
caso vista la pianura si potrebbe arrivare al massimo ai 32 e noi
siamo sopra ai 33 ma al primo controllo di Fombio nessuno ci fa caso.
Qui scopro un'altra brutta caratteristica dei randagi soprattutto
italici: le code non esistono così anche se arrivo al controllo
davanti a tutti quando presento la mia carta di viaggio mi sono già
avanti in 20 persone!!
Pisciatina, acqua fresca e si riparte:
ho deciso che rimarrò il più possibile con la banda di Jens visto
che voglio arrivare a Faenza, ovvero alle prime salite, il più
presto possibile.
Certo la disciplina è dura e quando i
due sgherri in testa sbagliano la strada i tedeschi scompaiono per un
po': evidentemente l'onta va lavata velocemente e quando ricompaiono
mi sembrano diminuiti di numero....
Devo ammettere che non mi piace stare
in scia senza dare cambi così provo a dare qualche aiuto davanti ma
non è facile: se la velocità non è esattamente quella prevista
vieni cazziato con un secco "zu schnell"(troppo veloce)
dimenticando che fino a pochi minuti prima loro andavano ancora più
veloci. Comunque si arriva al secondo controllo a Colorno con la
solita ammucchiata al tavolo del timbro sotto gli occhi schifati dei
ciclisti stranieri. Si riparte passando dalle terre Verdiane e tra le
case ancora sfregiate dal terremoto nella bassa modenese ma sono
dettagli che non toccano questa mandria imbufalita: più tardi ne
parlerò con alcuni di loro e nessuno si è accorto di essere passato
in una zona terremotata. Questa rimarrà una costante per tutto il
percorso evidentemente studiato per presentare le bellezze
storico-culturali-paesaggistiche italiane ma che ho l'impressione
siano state le classiche "perle ai porci": è vero che ho
fatto il percorso con ciclisti che volevano "fare il tempo"
ed erano decisamente più interessati alla qualità del fondo
stradale ..."sono meglio le strade in Serbia" si lamenta
Tom di Koln nel finale. Boh evidentemente non si può accontentare
tutti ma è vero che certe strade secondarie sono un buco unico e
quando hai male alle chiappe preferiresti una buona strada asfaltata
da poco alla visione del duomo di Siena. Purtroppo la decadenza della
nostra nazione è inesorabilmente palesata anche dallo stato delle
strade.
Ma torniamo al terzo controllo di Massa
Finalese dove finalmente si mangia: ci arrivo dopo una bella tirata
motivata da una parte dalla fame e dall'altra dal volermi cavare un
sassolino nei confronti del rad-kommando. Fausto si incazza con me
per questa sparata e probabilmente ha ragione. E' la prima alba sulla
strada,sempre magica. Constato che i primi piatti sono senza carne o
pesce e questo mi conforta molto, gli organizzatori hanno fatto un
bel regalo a noi vegetariani e questa sensibilità gli fa guadagnare
molti punti nel mio tesserino visto che non c'è nulla di peggio che
arrivare con la bava alla bocca ad un controllo e scoprire che
l'insalata di riso o la pasta contengono carne. Riparto da solo dopo
essermi rimpinzato e raggiungo un gruppettino farcito da randonneur
standard italiani: sui 55 anni, parlata brianzola, qualche capello
grigio ma con un bel fisico, Pinarello Kuota e divisa della nazionale
rando. Ne incontrerò molti e sono generalmente buoni compagni di
viaggio ma qui ho voglia di andare e quando dopo pochi km chiamano
"pausa caffè" io rimango a pedalare con uno straniero
finora sonnecchiante in coda al gruppetto. Il tipo mi passa, fa cenno
di accomodarsi a ruota e inizia a menare come un fabbro arrapato sui
39 kmh, dopo qualche km gli do qualche cambio ma non sorpasso i 35
poi raggiungiamo un altro solitario di Formigine con il quale
discutiamo delle traversie di Riccò. Il mazzuolatore straniero non
parla inglese ma sfruttando la mia conoscenza dello sloveno riesco a
capire che fa il pompiere e che è appena venuto da Varsavia a Roma
in bici: certo ha una bella condizione. Arriviamo così a Faenza dove
inizia a far caldo, si mangia discretamente e poi via: da qui ,
dicono gli esperti, inizia la vera rando. Pavel mi chiede se voglio
partire con lui e con un altro energumeno polacco ma gli rispondo
gentilmente che vanno troppo forte e non voglio tirarmi il collo.
Scoprirò dopo che questa capacità di inserirsi o formare gruppi è
una delle arti necessarie al buon randonneur anche perchè
soprattutto di notte o in pianura essere in gruppo aiuta. Ma è anche
vero, come mi aveva spiegato il buon Silvano, mio rando-maestro, che
il gruppo può essere anche un vincolo perchè uno ha i crampi,
l'altro ha fame, il terzo ha sonno e l'ultimo deve cagare: alla fine
se non c'è molto affiatamento il gruppetto può portare più danni
che benefici. La soluzione migliore a mio parere è la coppia e ho
molto ammirato l'affiatamento e l'organizzazione di due di amici ,
John di Londra e Johann svedese, con i quali ho passato alcune ore in
Toscana.
Riparto ancora da solo e ritrovo
disperso per Faenza Gaetano da Vicenza con il quale avevo già
pedalato nella valle del Rodano nella Tourblanc: è simpatico e molto
positivo e vuole chiudere la carriera ciclistica con questa rando per
stare poi più vicino alla famiglia: motivazione encomiabile (voglio
poi vedere se ci riesce...). Vorrebbe anche finire la rando entro
domenica sera perchè lunedì deve lavorare ma lo avverto che questo
invece sarà impossibile: il caldo, come previsto, inizia a farsi
sentire e sarà bene stare tranquilli per evitare colpi di sole.
Passiamo da Predappio e restiamo colpiti dai negozi che vendono
paccottiglia nostalgica fascio-nazista: personalmente sono
scandalizzato perchè la nostra costituzione vieta espressamente
queste manifestazioni. Non sono un bacchettone e da ragazzo ho
frequentato il Fronte della Gioventù, adesso mi considero un
libertario e non ho particolari prevenzioni tanto che sono appena
stato a visitare il "nido dell'aquila" di Hitler in Baviera
dove però mi ha colpito positivamente la totale mancanza di ogni
traccia di croci uncinate o altro. E' il solito discorso, in
Germania le cose si dicono e si fanno, da noi la pratica è
arrangiata a piacere: Gaetano invece pensa che sia giusto lasciare
libertà anche ai nostalgici di acquistare quello che vogliono. Boh
mi piacerebbe sapere cosa penserà Kaiser Jens quando passa di qui.
La strada sale lentamente ma il caldo la rende ostica anche con
pendenze sul 4% così ci fermiamo ad un bar ristorante di Premilcuore
anche perchè personalmente ho pressioni in zone meno nobili del
corpo umano come i visceri. Nello stesso momento entrano anche Fermo
con la cupola organizzativa della 1001 miglia, sono preoccupati per
il caldo ma intanto si accomodano al ristorante mentre io e Gaetano
cerchiamo di rifocillarsi al bar: confido per scherzo al simpatico
Stefano Morelli che questo fotografa ineluttabilmente il divario tra
classi sociali ma lui specifica che anche loro si sono svegliati alle
5 dopo essere andati a letto alle 3; certamente siamo gli attori
complementari di questo gioco che senza di loro, evidentemente, non
potrebbe esistere. Solo facendo tutto il giro si riesce a capire
quanto complicato sia il loro lavoro, quante variabili abbiano
causato soprattutto nelle prime edizioni il giudizio "francese"
ma in quel momento io sto sudando come una biscia sotto al sole
rovente mentre loro si degustano le pappardelle al cinghiale e non è
la stessa cosa! Gaetano mi lascia salire perchè dice di non avere
una gran condizione, veramente diceva così anche alla Verona Resia
ed è arrivato tra i primi 5 alle 5,20 di mattina. Si scollina al
passo dei tre faggi a 920mt. e cerco subito un po' di ombra per
riposarmi, la vedo 50mt dopo il passo dove c'è un ciclista seduto.
Ha anche lui la divisa di ordinanza della "nazionale" ma è
senza bici: gli chiedo se gliel'hanno rubata ma inizia a rispondermi
a monosillabi raccontandomi la sua triste avventura. Si chiama
Paride ed ha avuto un blocco intestinale salendo, a dire il vero
mettendoci del suo visto che ha bevuto molti caffè che invece lo
fanno star male. Qualcuno lo ha portato su in macchina mollandolo
però come un pacco postale. Sta male, vorrebbe vomitare ma non ci
riesce, ed è disperato perchè ci teneva molto a questo brevetto.
Inizia a tremare e lo faccio sdraiare coprendolo con una mantellina
visto che dice di aver freddo. Brutti segni, cerco di
tranquillizzarlo, gli dico che il nostro corpo è una macchina
perfetta e che generalmente si autoregola, che deve solo calmarsi e
magari poi proseguire anche se fra me penso che non sarà
assolutamente in grado di farlo, infatti si ritirerà saggiamente a
Dicomano. Dice che un amico gli sta portando su la bici in macchina e
non capisco come visto che siamo tutti in bici, magari avrà
un'assistenza , penso io. Intanto passa gente sia pedalante che in
macchina: un toscanaccio scende dal furgoncino e ci chiede
gentilmente se vogliamo un passaggio, poi ,dopo che gli spiego cosa
stiamo facendo chiede " ma siete sicuri che vi faccia bene?"
Non attende risposta, guarda il disperato Paride per terra e si
auto-risponde scuotendo la testa "Non , un fa bene per nulla,
lasciatemi andare, via, che devo andare a far legna".
Onestamente capisco pure lui...continuano a passare ciclisti ma della
bici nessuna traccia. Un tipo dice che adesso starà lui con Paride
ma che va a prendere un po' d'acqua e poi torna...invece lo rivedrò
solo al controllo. Sono perplesso perchè credo che quando si va in
bici una delle prime regole sia quella solidarietà che ti porta a
chiedere sempre "tutto bene?" al collega che vedi fermo per
strada, figuriamoci in una rando e con un partecipante sdraiato per
terra. Invece passa Kaiser Jens che guarda tutti dall'alto in basso
senza cagarci assolutamente: sento che la sua bici cigola
minacciosamente in frenata e quando scendendo lo trovo incazzatissimo
con la bici rotta penso che forse lo spirito rando non esiste ma Dio
sì.
Al controllo di Dicomano c'è già
un'atmosfera da ritirata di Russia con Fermo che rallegra il pueblo
ricordando che la prossima tappa, quella del monastero della Verna, è
la più dura in assoluto. Vedo che dobbiamo salire al passo della
croce dei Mori già affrontato nella rando di Lugo ma dall'altro
versante decisamente più facile.
Il paesaggio è splendido ma fa
molto caldo la salita è lunga ma pedalabile così decidiamo con
Gaetano di fermarci in un bar di Stia a bere qualcosa, così gli
potrò raccontare le mie avventure giovanili come pastore di capre a
pochi km da qui. Invece non riusciamo neppure ad accennarne perchè
il barista è un appassionato ciclista e la discussione viene
inevitabilmente focalizzata sui suoi ricordi delle precedenti
edizioni e sulla descrizione della salita della Verna che spaventa un
po' tutti: ci tranquillizza spiegando che per noi non dovrebbero
esserci problemi. Arrivano anche altri randagi e me li porto a spasso
verso Bibbiena grazie alla mia parziale conoscenza delle zone e
soprattutto del mio GPS, poi a ruota si sta sempre bene...dopo lo
strappo dell'ospedale però mi giro e non c'è più nessuno, rallento
e vengo raggiunto da Czesar, amico di Pavel ed anche lui pompiere
polacco e dal buon Gaetano: siamo molto preoccupati per gli ultimi
3km da Chiusi che qualcuno ci ha descritto come durissimi. Invece è
tutto molto regolare, ammiriamo un tramonto mozzafiato sugli
Appennini ma arrivando su incrociamo un gruppo che scende dicendo
che è la strada sbagliata: la cosa ci preoccupa ancor di più quando
in cima non troviamo le solite indicazioni ma le frecce per l'Eroica.
La traccia GPS arriva in una piazzetta dove un tripputo americano
dichiara di non aver visto neppure un ciclista...invece sono tutti a
100mt e ripassando davanti ad un gruppetto di beghine e frati che pur
ci avevano visti salire ma non ci avevano detto niente gli rivolgo
alcune frasi decisamente poco francescane. Finalmente guadagno la mia
branda tra l'altro nel semideserto dormitorio femminile. Il controllo
è permeato dall'ospitalità francescana e presidiato da un
simpatico baffone che scoprirò in seguito essere tra gli
organizzatori dell'Eroica. Purtroppo non riesco a dormire anche a
causa della troppa Coca-cola bevuta nonchè di un gel comprato al
Decathlon che contiene taurina, caffeina e altre sostanze che per me
che non bevo caffè da anni fanno l'effetto di due piste di
cocaina...decido così di ripartire e mentre mi preparo arriva Fausto
al quale cedo la contesissima branda mentre la parte sopra la
subaffitto ad un altro ragazzo conosciuto nel forum di BDC sotto il
nick "il fennec". Provo a svegliare il mio socio Gaetano
che mi dice seraficamente che stava facendo un bellissimo sogno
invitandomi quindi a togliermi dai marroni.
Vedo che sta ripartendo
anche un signore di una certa età che scoprirò successivamente
essere stato campione italiano di "duathlon"(corsa più
ciclismo) e che qui funge da gragario di Laura una giovane ragazza
che punta direttamente alla vittoria femminile. Scendendo dalla Verna
la tipa mi racconta che fatto equitazione a livello agonistico per
10 anni ma successivamente, innamoratasi delle due ruote, si è fatta
ciclista correndo anche per la Federazione. Adesso sta scrivendo la
tesi di laurea proprio sulle 1001 miglia e non nasconde mire di
vittoria. La scorta anche il padre in un furgone da frikkettoni con
bandiera USA e ogni tanto compare anche la madre.
Certo pedala bene, ma quando la vedo
sgambettare in salita con la sola borsettina degli attrezzi capisco
che esistono proprio due rando diverse. Raggiungiamo un gruppetto con
i ragazzi di Savona, anche loro con camper al seguito, e insieme
raggiungiamo Montallese dove avviene il primo bag-drop e dove, dopo
670 km, posso già iniziare a fare un primo bilancio del brevetto.
Innanzitutto sto bene e sono contento che la mia organizzazione di
borse e cibi stia funzionando, purtroppo il soprassella inizia a
farmi proprio male ma questo era prevedibile visti i miei problemi
per trovare una sella affidabile. Ho capito poi che un brevetto è un
po' come una corsa a tappe concentrata dove ogni controllo è diverso
e ogni parte del percorso ha una propria personalità. Qui a
Montallese per esempio il cibo è pessimo, la cucina è gestita male,
mi tagliano una fettina di anguria da 30 grammi e la pasta è dura
come il marmo...un ragazzo svedese conosciuto nel finale mi
racconterà di aver aspettato lì 45 minuti un piatto di pasta mentre
gli amici degli amici arrivavano e dopo 10 minuti stavano già
mangiando. Forse potrebbe essere interessante poter "votare"
a fine giro la qualità dei vari comitati/cibo/dormitori/pulizia. Ad
esempio i bagni fanno spesso schifo, l'impressione è che nessuno
vada a dare un occhiata e non riesco immaginare come sia la
situazione dopo il passaggio di 150 persone.
dove si concentra un po' tutta la storia dell'Impero Romano e mi sembra di risentire echi di battaglie, inseguimenti, Oriazi e Curiazi, il ratto delle Sabine. Ecco quelle sono rimaste forse, o qualche loro erede, però a parti rovesciate: nel caso odierno le giovani "Sabine" di colore cercano loro di cattuare qualche sesterzio dai viaggiatori erranti...anche se in bici. Vorrei fermarmi e fargli capire che almeno io ho ben altri richiami per la mente, che le forze sarebbero comunque scarse e che le moderne Sirene del "Controllo Segreto" non mi attraggono affatto.
Ormai siamo in centro Italia e dopo le 10 fa davvero molto caldo, io ho capito che è meglio pedalare in solitaria anche perchè il male al culo mi impone una condotta di gara pessima: in pianura devo pedalare di traverso tenendo praticamente sulla sella la coscia-chiappa destra che è la meno devastata altrimenti devo alzare la velocità visto che lo sforzo concentra maggiormente il peso sui pedali e mi fa meno male il culo, in salita sto quasi sempre sui pedali quindi con rapporto duro ed alta velocità, meno male che quest'anno ho già percorso più di 14000km e ho una buona gamba. Infine in discesa non pedalo affatto, mi riposo fino all'ultimo metro perchè è l'unico momento in cui non soffro. Mi sembra di essere un pianista che rimane all'ascolto delle ultime vibrazioni cromatiche che si spengono gradatamente alla fine di un brano. Ciclisticamente parlando il tutto è uno schifo soprattutto in una rando dove invece si dovrebbe procedere con regolarità e senza strappi.
Arrivo a Bolsena dopo 870km alle 15,20 e
mi faccio un bel bagno nel lago antistante: onestamente non capisco
come possano resistere alla tentazione gli altri randagi...dopo tanto
caldo cosa c'è di meglio che un fresco tuffo? Durante il pranzo
parlo un po' con una ragazza alto-atesina che è la concorrente di
Laura per la gara femminile. Approfondisco con lei la teoria dei
microsonni sulla quale avevo già discusso con il mio benzinaio alla
partenza da Carpi. Mi aveva raccontato che in America fanno questi
corsi sia per militari che per atleti, per organizzare e preparare
l'ora di sonno che, a sentire i neurologi, basterebbe per rilassare
il sistema nervoso. E' un argomento che mi interessa particolarmente
visto che è due notti che non dormo e mi rendo conto che questo non
è molto salubre. Nel palazzetto di Bolsena infatti forse grazie alla
mancanza di eccitanti, forse grazie al bagnetto e forse grazie alla
stanchezza riesco a dormire un paio d'ore. Riparto ringalluzzito
verso Pomonte in una delle mie tappe preferite: rivedrò l'ardita
Pitigliano ma soprattutto la zona di Saturnia. Sono un appassionato
frequentatore di terme e acque calde e questa è la zona che
preferisco. Pedalo felice come un bombolone alla crema anche se gli
strappi salendo verso Poggio Murella sono abbastanza ruvidi. Qualcuno
dirà che in questa tappa molti hanno tagliato evitando strappi e
kilometri ed in effetti forse un controllo a sorpresa qui ci sarebbe
stato meglio che quello doppio nel Senese ma siamo al solito
discorso: se uno vuole barare non c'è pezza di controllare tutto e
tutti. Al passaggio a Saturnia non riesco a resistere, non scendo con
la bici alla cascata anche perchè è sabato sera siamo nella
settimana di Ferragosto e c'è un casino di gente, preferisco
portarmi la bici nel canale che collega le piscine alla cascata e lì,
in mezzo alle canne di bambù ed alla luce della bici, mi immergo per
10 minuti nelle paradisiache acque calde che spero abbiano capacità
di lenire le mie ferite. Dovrei rimanere qui più a lungo, le acque
sulfuree fanno miracoli sulla pelle, ma mi è bastato l'attimo . Lo
spirito è rinfrancato , dopo tanta sofferenza arriverà anche il
piacere ...viste le mie teorie sulla necessità di alternare entrambe
le sensazioni non posso che essere felice di risalire in bici. In
questo stato estatico vengo raggiunto da un ragazzo del nord-ovest
della Germania zona dalla quale, non so perchè, provengono molti
randagi. E' un tipo allegro e gli spiego in quali meravigliosi posti
sta passando perchè non si è accorto di nulla concentrato come è
sulla gara. Anche lui è della brigata di Jens che è riuscito a
riparare la sua Cervèlo e ora sta lottando per essere tra i Top
10...non sapete come sarò dispiaciuto quando alla fine scoprirò che
è arrivato solo 11°. Mi racconta che il Kaiser è un tipo molto
competitivo, non l'avevo capito...., ma che sa gestirsi molto bene.
Inizio a capire che a questa gente qua delle porte di Todi o delle
Terre Senesi non gliene può fregà de meno, sono qui per arrivare il
prima possibile e basta. Arriviamo a Pomonte dove però il tedesco mi
comunica che lui vuole dormire e non riparte subito, intanto che
siamo lì arrivano 4-5 randagi italiani che naturalmente presentano
subito la carta di viaggio senza neppure scendere dalla bici. Gli
faccio notare che siamo già lì da 5 minuti e che dovremmo prima
timbrare noi ma lo faccio solo per proteggere il mio giovane amico
che ci tiene molto alla posizione...io onestamente fino a quel punto
non so neppure se sono quarto o trecentesimo. Apriti cielo, un
italiano inizia a urlare e chiede, per sfottermi, di segnarmi un
quarto d'ora in meno. Certe volte, anzi quasi sempre, mi vergogno di
essere nato in Italia. Pomonte comunque è un piccolo agriturismo ma
è anche il posto dove ho mangiato meglio. Almeno cercano di uscire
dal monotono schema della pasta fredda più anguria che dopo un po'
tendono a stufare. Una bella idea potrebbe essere di stimolare i
comitati a proporre più piatti tipici locali come mi dicono si
faccia alla Madrid Gjion. Comunque mi spazzolo due piatti di crema di
zucchine con crostini e salame dolce al cioccolato. Sono davvero
felice e chiedo ad un ragazzo Viennese se possiamo fare insieme la
prossima impegnativa tappa con arrivo a Montalcino. Mi dice di sì ma
dopo 5 minuti torna impaziente all'attacco, io so finendo di
sistemarmi e lui mi lascia, premettendo di non prendermela ma che ha
fretta perchè deve fare il tempo. Avrei preferito andare con
qualcuno in questa tappa che attraversa il famigerato "Canyon"
un pezzetto con tanto di attraversamento di fiume, in secca, e pezzi
in sterrato in una zona abbastanza desertica dove se ti succede
qualcosa corri il rischi di restare a terra per ore. Arrivato infatti
al punto scabroso trovo alcuni ragazzini che stanno cazzeggiando in
piazza godendosi il fresco notturno. Gli chiedo , esprimendomi male :
allora dov'è sto buco di Polveraia? e loro la prendono male perchè
non pensano assolutamente al Canyon ma al loro paesino...basta poco
per non capirsi nella vita. Poi ci chiariamo e mi dicono di non
preoccuparmi: infatti il passaggio non ha nulla di così pericoloso.
Mentre mi avvicino alla salita di Montalcino incontro altri randagi
tra i quali mi raggiunge ad un benzinaio Daniel un ventunenne di
Manchester che sembra particolarmente spaesato. Capisco che è venuto
qui per fare la gara con i primi ma qualcosa è andato storto ed ora
traccheggia sul 30° posto. Anche lui è un indipendente, nel senso
che non ha assistenza, ma ha comunque ben poco con sè , mi racconta
che è un vero girovago delle due route ed è sponsorizzato dallo Sky
Team così parliamo un po' delle olimpiadi e della rivalità tra
Cavendish e Wiggins. Certo è un bravo tipo e pedala anche bene,
insieme veniamo su belli arzilli verso il Passo del Lume Spento e
superiamo anche il Viennese, però mi rendo conto quando gli chiedo
dei Joy Division e di Jan Curtis, celeberrima band di Manchester, che
non conosce molto altro all'infuori delle due ruote. Peraltro è uno
dei 7 inglesi che non beve e non ha mai sentito nominare il vino di
Montalcino...poi vai a fargli i percorsi storico-culturali...lo
ripeto, la verità è che a questi interessa solo la gara tanto che
alla fine intrippano pure me. Al controllo fa fresco e si sta bene
così decido di fare un sonnellino tanto ormai ho la sveglia interna
che mi fa ripartire appena ho rilassato la mente, anche senza corso
USA. Alla partenza mi chiedono di scendere assieme Laura e il suo
accompagnatore ma questa volta è lei che è lunga come solo le donne
possono esserlo e dopo un po' parto da solo per immergermi in una
splendida alba Senese.
Capisco poi che esiste una qualche legge
cosmica che punisce chi non rispetta i patti presi di
accompagnamento: come era successo prima con il viennese ora è la
volta di Laura di superarmi dopo aver snobbato il suo invito.
Provo ad andare a riprenderli ma non
c'è più nessuna speranza, sono scomparsi. Arrivo verso le 8 al
controllo di Castelnuovo Berardenga dove avviene il secondo e ultimo
bag drop anche visto che abbiamo ormai passato 1000 km. Cavolo, mi
penso, ho già fatto 1000 km ma tengo la cresta bassa anche perchè
so che il pericolo maggiore è quello di sentirsi già arrivati e poi
il dolore alle chiappe può aumentare da un momento all'altro e farei
fatica a finire il giro. Laura piange perchè è stata male la sera
prima e mi sembra un po' stanca soprattutto psichicamente, il ristoro
è buono e mangio a più non posso: la prossima è la tappa della
visita a Siena ed agli sterrati dell'Eroica. Di primo mattino fa già
molto caldo e i pezzi in sterrato mi sembrano particolarmente
pericolosi visto che ho i cuscinetti della ruota davanti che ballano
. Così ci vado cauto anche perchè ci sono strappi veramente duri,
entro comunque in Siena e dopo il controllo veniamo spediti per un
giro turistico veramente insensato e pericoloso. Capisco al limite un
salto in piazza del Palio ma dopo veniamo indirizzati verso il Duomo
e altre bellezze locali: peccato sia domenica e i vicoletti
lastricati in pietra pullulino di famigliole in gita-premio con
bimbetti sguizzanti tra una vetrina e un gelataio...insomma il
peggior posto dove girare con bici come le nostre.
Finalmente esco da
Siena e constato di aver fatto una grande fatica percorrendo 30km in
tre ore e il duro della tappa deve ancora venire. Mentre mi arrovello
sui motivi di queste variazioni Senesi arrivo al primo controllo a
sorpresa dove giunge anche Fermo, al quale rappresento le mie
perplessità sul tracciato Senese che però, dice lui, è colpa della
contrada vincitrice del Palio che può decidere tutto...altri in
seguito punteranno più verosimilmente il dito sullo sponsor
principale della manifestazione, ovvero il Monte dei Paschi che
avrebbe imposto il passaggio.
Fatto sta che compare anche Claudio,
uno tra gli organizzatori dell'Eroica che avevamo già conosciuto
alla Verna. Visto che è in giro e dobbiamo passare proprio davanti a
casa sua ci propone di scortarci fino a Colle val d'Elsa dove proverà
a sistemarmi i cuscinetti. Essendo lui nel direttivo di Audax Italia
abbiamo il modo di parlare sulla manifestazione in particolare e del
movimento rando in generale. Mi racconta della situazione che si sta
creando per cui molti atleti si stanno spostando dalle Granfondo alle
Randonnee perchè ormai c'è più copertura mediatica nelle gare di
durata ed è difficile, sempre più difficile, rispettare lo spirito
Rando anche se non dobbiamo dimenticare che la Paris-Brest è nata
come gara competitiva. Comunque Claudio è davvero gentile, stringe
un po' i miei cuscinetti e ricarica di acqua fredda anche la coppia
anglo-svedese mentre il buon Fulvio Gambaro si è fermato per
sistemare la forcella di un altro randagio in difficoltà. Ripartiamo
verso San Giminiano dove forse ho incontrato le temperature più alte
del brevetto...Johann , lo svedese con il quale sto pedalando, mi
dice che da loro c'è stata un'estate pessima con temperature massime
a 20-23 gradi e immagino cosa possa dire salire su certi strappi a
43°. Infatti appena arrivato al secondo controllo segreto si infila
col suo socio alla ricerca di un bar con l'aria condizionata mentre
io preferisco rinfrescarmi ad una fontanella. Riparto con calma
pensando che il peggio è passato e invece per arrivare a Montaione
faccio veramente molta fatica a causa non solo della temperatura ma
anche delle strade diritte senza uno schifo di tornante per
rifiatare. Arrivo su distrutto e scopro che questo sarà il controllo
con il comitato più antipatico del brevetto. Alla richiesta di una
doccia il CapoBastone locale si incazza perchè nessuno
dell'organizzazione gliel'ha chiesta e invece sarebbe stato possibile
averle... ma non poteva arrivarci da solo che in giornate così calde
e dopo una tappa del genere uno si sarebbe rinfrescato volentieri?
Poi dice che comunque c'erano già le docce al precedente controllo
(6 ore fa...). Davanti al chiosco-ristorante c'è sì una fontanella
ma si è staccato il tubo e nessuno sembra interessato a
riattaccarla, ma Lui ha fatto la PBP tre volte e là le docce non ci
sono ...mi risulta che ci siano a pagamento ma non può evidentemente
paragonare le temperature della Bretagna con le bolle di calore
incontrate oggi. Mangio male scambiando qualche parola con Fulvio,
poi viene uno degli accompagnatori che gironzolano nei controlli e
che essendo già lì da tempo hanno anche una visione più completa
della gara. Dice che ci sono un po' di sospetti sui risultati sia
dell'austrico con le sue due belle moto di accompagnamento sia su
Laura col il camperino di papi sempre dietro al culo. Provo a dormire
un po' ma fa davvero molto caldo e così riparto con le palle girate:
medito seriamente di tornare a casa, il dolore al fondoschiena è
veramente forte, sono tutto una piaga e stare lì a soffrire col
pensiero che ci sia qualcuno che gioca sporco mi da molto fastidio.
Intanto vado su verso la ferrovia Pisa-Firenze poi vedrò. A un certo
punto mi telefona mia moglie che in effetti non sento da giorni
perciò mi fermo e scopro che a bordo strada ci sino more succose
delle quali faccio una scorpacciata. Nel frattempo arriva un rider
che vaga senza molta cognizione visto che in effetti in questa zona
la frecciatura è veramente pessima. E' di Verona, ha 60 anni ed è
bello tosto. Decidiamo di andare a mangiare qualcosa ad Altopascio
dove dopo parecchi giri troviamo una pizzeria al taglio aperta.
Scopriamo che entrambi abbiamo fatto il paracadutista e questo
rinsalda l'amicizia: peccato che subito all'uscita del paese ci
perdiamo. Io torno indietro a cercarlo per 20 minuti ma poi riparto,
dice che è passato un gruppetto e si è accodato: non sono geloso e
anche io ritrovo la coppia anglo-svedese con la quale risalgo verso
Castelnuovo Garfagnana. La strada è trafficatissima e alcuni la
scambiano evidentemente per una pista di velocità...in più è
intasata di traffico malgrado sia passata la mezzanotte. Arriviamo su
nel caos più totale, tutti i cartelli dell'organizzazione sono
scomparsi nella sagra locale. C'è un casino di gente per strada,
gente che suona, discoteche a manetta. Mi ricordo allora che la
Garfagnana ha la fama, come la Lunigiana, di essere un posto un po'
particolare, qui ci sono i cavatori di marmo di Carrara e molti
anarchici e culturalmente si discostano sia dai toscani che dai
liguri. Mangio una pizza con Giancarlo e poi ci ritiriamo nella
palestra dove troviamo delle ottime brande libere. Alle 4 sveglia e
si riparte subito in salita verso Aulla, albeggia tra picchi selvaggi
e verdi boschi con le bianche Alpi Apuane sullo sfondo. Sono
estasiato ma rimango veramente colpito dalla bellezza del lago di
Minucciano
ma anche da un tipetto che ci sorpassa in bici a doppia
velocità facendo "yopp, yopp", penso sia uno dei randagi
di punta che ha avuto qualche problema meccanico e adesso sta
risalendo la corrente. La discesa su Aulla è spettacolare ma fredda,
il posto di controllo piazzato in un bar dietro ad un distributore
assolutamente non segnalato ma comunque sono felice di esserci
arrivato e di non essermi arreso dopo Montaione: oggi potrebbe essere
l'ultima giornata di viaggio e resta "solo" lo scoglio
delle due tappe liguri.
Qualcuno ieri sera aveva anche predetto
che "però la Liguria non è così calda, c'è sempre una
brezzolina dal mare".Li mej cojoni... Forse a Sanremo a marzo ma
oggi alle 10 quando azzanno la salita verso Levanto, con pendenze
importanti, la temperatura sale velocemente. A metà resto senza H2O
e non c'è nessuno poi per fortuna sbuca una fontanellina dalla
roccia che mi salva la vita. Scendo su Levanto e decido che non
posso ripartire senza aver mangiato una focaccia ligure così mi
fiondo sul primo supermercato aperto dove ne compro un bel pezzo
assieme a pesche e uva delle quali sono ghiotto ma che in questi
ultimi giorni non ho trovato. Mentre sono lì che pasteggio come un
clochard nel parcheggio arriva una coppia di milanesi che sanno tutto
sulla 1001 miglia anche perchè lui va in bici e abitano vicino a
Nerviano, belìn finalmente qualcuno che non mi da del matto. Riparto
così verso la seconda parte della tappa che arriva a Deiva e che il
tipo di Londra mi ha tratteggiato a tinte molto fosche. In effetti il
primo pezzo al 10% sotto a questo sole è abbastanza antipatico poi
si trova qualche albero che mi permette di evitare lo "slalom
dell'ombra "ovvero la pericolosa pratica di spostarsi verso la
sinistra della carreggiata, contromano, per trovare qualche metro di
refrigerio.
In qualche modo arrivo a Deiva, posto
di tappa dove hanno piazzato il ristoro tra due capannoni dove ci
saranno 50°, nei bagni è tutto uno spalmamento generale di cremine
tra gli organi genitali e chi vi capitasse per caso penserebbe forse
ad una banda di gay arrapati più che dei ciclisti...comunque solito
schema doccia, cibo e riposino con ricarica batterie ma fa veramente
molto caldo e non vedo l'ora di arrivare così risveglio Giancarlo
per farlo ripartire. Lui sta russando alla grande anche perchè da
buon produttore di vino veneto quando può beve anche qualche "ombra"
e poi a 60 anni ma è un duro e riparte: non lo rivedrò più e mi
dispiace.
Ci si arrampica al passo del Bracco
dove fa un caldo schifoso tanto che vedo delle querce seccate dalla
siccità, la litoranea di Sestri è un incubo di traffico alle 18 e
così sono proprio contento di iniziare la salita verso il passo
della Scoffera che inizia blandamente ma poi alla fine ha la sua
difficoltà soprattutto a causa di nugoli di insetti tipo tafani o
roba del genere . Arrivo al controllo di Casella poco dopo le 20 e
trovo due superstiti della truppa di Jens con i quali decido di fare
le ultime due tappe. Veniamo giù a balla su 40kmh verso il
Mausoleo di Coppi che trovo un po' eccessivo. Se penso, chessò ,
alla modesta statua che da sola adorna la casa nativa di papa
Giovanni 23° trovo che per un ciclista, anche se per un grandissimo
ciclista, si potrebbe tenere un profilo più modesto. Così non esco
neppure con Tom a vedere la tomba e infatti lo spirito del luogo mi
punisce velocemente: appena ripartiti mi si rompe la catena , cosa
mai successa in 5 anni che vado in bici. In più scopriamo che sia
lo smaglia catena che la falsa catena che abbiamo in dotazione sono
inutilizzabili visto che sono ormai misurate per le catene da 9/10
velocità mentre io ne monto ancora una a 8 velocità. I ragazzi
rimangono con me una mezz'oretta poi quando è chiaro che non c'è
nulla da fare mi salutano invitandomi a raggiungere il Mausoleo dal
quale siamo partiti dove almeno troverò da dormire. Sono veramente
triste, dopo aver fatto tanta fatica e a pochi km da Nerviano di
ritrovarmi per la deserta campagna con la mia bici senza catena. Per
fortuna la prima macchina che passa è guidata da Alessandro giovane
studente di ingegneria al Politecnico di Milano che mi ospita a casa
sua, i genitori sono in vacanze, e la mattina dopo viene con me da un
ciclista di Tortona che rapidamente mi rimette una nuova catena: è
bello scoprire che esistono ancora buone persone a questo mondo e
non posso che ringraziarlo che con il famoso proverbio buddista: se
fai del bene, il bene torna; se fai del male, il male torna.
Rieccomi verso le 11 a trebbiare sotto
al sole questa volta padano ma non per questo meno caliente di quello
tosco-umbro-ligure o di chissà dove: fa caldo e basta e sono ben
felice di aver finito la mia avventura. La foto sul ponte di
chiusura questa volta è su quello storico di barche sul Ticino.
Alle
porte di Milano mentre chiacchiero con un tipo di Poggibonsi veniamo
raggiunti dal gruppone italiano con i gemelli Mazzucchelli, Simona,
Jimmy e tutti gli altri. E' bello arrivare così in compagnia e
sono felicissimo di aver completato questa grande sfida. Nelle docce
un tedesco euforico ha ancora voglia di scherzare e commenta la sua
abbronzatura come un omaggio agli amici polacchi visto che ha le
gambe rosse come fragole e i resto del corpo bianco come neve.
Cosa rimane di tutta questa avventura? A chi mi chiedeva prima di partire quale fosse la motivazione di questo sforzo, citavo nominando Il vecchio e il mare di Hemingway, ovvero la voglia di sentirsi ancora vivi. Sono partito per arrivare e mi sembrava un sogno continuare a pedalare bene nella mia prima over 1000
poi quando mi hanno detto che ero 30° mi sono anche un po' gasato. Beh la rottura della catena mi ha riportato velocemente a terra. Sono contento di aver fatto tanti amiciz che spero di re-incontrare, a Dio piacendo, l'anno prossimo alla Londra-Edimburgo.
Forse rimane la constatazione che certamente per finirla ci vuole una notevole preparazione fisica e logistica ma dopo i dolori patiti negli ulti 1000km ho capito che nelle rando, come peraltro nella vita, ci vuole sempre anche un po' di culo...
Forse rimane la constatazione che certamente per finirla ci vuole una notevole preparazione fisica e logistica ma dopo i dolori patiti negli ulti 1000km ho capito che nelle rando, come peraltro nella vita, ci vuole sempre anche un po' di culo...
mercoledì 1 agosto 2012
Sopra e sotto al ponte.
La parola che, secondo me, meglio
sintetizza la seconda edizione della randonnée Verona-Resia-Verona è
"ponte": perchè indubbiamente la valle dell'Adige
rappresenta un ponte tra Padania e Alpi, perchè il passo Resia è un
ponte naturale verso Austria e Svizzera, perchè di ponti sopra
l'Adige ne abbiamo passati a pacchi, perchè un ponte, quello di
Brest, resta comunque il simbolo di questa folle passione e last but
not least perchè proprio di un ponte avrei avuto bisogno la mattina
di sabato 21 luglio per uscire di casa e iniziare questa nuova
avventura.
Vale proprio la pena di raccontare come
sono arrivato alla partenza: ero gentilmente ospitato a casa di amici
tatticamente abitanti a 300mt dalla partenza, sveglia alle 4,
colazione pantagruelica e via verso la bici già pronta....peccato
che la bella porta in ferro battuto di casa non ne voglia sapere di
aprirsi, provo per qualche minuto con intensità sempre maggiore
ottenendo solo il risultato di spannare definitivamente la serratura.
A questo punto tiro giù dal letto il padrone di casa, visibilmente
entusiasta per la sveglia antelucana e per la bella notizia della
porta rotta. Anche lui vaga per la casa come uno spettro
Shakespeariano alla ricerca delle chiavi e alla fine da buon
veronese, gente da sempre esperta in scale e balconi, mi invita a
levarmi dalle palle indicandomi la finestra della cucina. Per fortuna
siamo al primo piano, mi calo su un tetto e poi mi scartavetro su un
lavandino dopo aver buttato la sacca con i miei stracci. Insomma in
qualche modo riesco a uscire mentre loro dovranno chiamare i vigili
del fuoco per farlo e in questo stato d'animo" a là Indiana
Jones" mi trascino verso il Palazzo dello sport dove i primi
randagi sono già in partenza. Saluto qualche faccia nota mentre
molti altri che so essere presenti non li vedo...qualcuno lo
incontrerò strada facendo mentre altri faranno un giro parallelo.
Meno male che comunque avevo già provveduto nel pomeriggio alle
burocrazie dell'iscrizione così riesco a partire col secondo
gruppetto cosa che mi permette di trovarmi in pochi minuti col
gruppone dei primi. Certo perchè, alla faccia della presunta non
competitività delle rando, quelli del secondo gruppo partono a
manetta col chiaro intento di non restare staccati e ci troviamo
subito ai 35 all'ora a slalomare tra i pali delle ciclabili veronesi.
Queste sono veramente tante e anche molto trafficate, come scopriremo
la domenica mattina al rientro, ma alle 5 siamo liberi di
arrampicarci tra ponticelli passaggi da andrenalinic-park e strappi
micidiali per raggiungere il lago di Garda. Qui spira una brezza
contraria che convince tutti a mettersi a ruota, ciucciando con
parsimonia le scie dei colleghi anche se in molti non tirano neppure
un metro. Lo sguardo di tutti vaga alternativamente tra strada e
cielo visto che la grande incognita del giorno è rappresentata dalle
preoccupanti previsioni meteo. Considerando che quella della
meteorologia è una delle mie passioni, quasi un obbligo per chi
passa varie ore in bici, mi ritrovo con piacere a confrontarmi con un
esperto randagio che mi assicura di fidarsi solo delle previsioni
svizzere che sono tanto ottimiste da convincermi al volo. Il problema
è rappresentato dalla discesa serale-notturna da passo Resia, zona
notoriamente fresca di suo, ma che sarebbe decisamente critica in
caso di acquazzone. Va bene prendere acqua sulla ciclabile della Val
d'Adige, cosa che succederà più tardi, ma in discesa a 1500mt sono
kazzi...Comunque poco sotto Rovereto ci immettiamo sulla famosa
ciclabile della val d'Adige dove possiamo per l'appunto vedere le
tracce di una tempesta di grandine che ha spolpato le vigne, ha
divelto alberi e riempito la ciclabile di rami di acacie con relative
spine, pericolosissime fora-tubolari. Ne sa qualcosa un randagio
valdostano che incontro salendo verso Resia, e che già al Tourblanc
aveva dovuto inseguire causa foratura nei primi chilometri, il quale
gira conciato come un ciclista vintage-eroico con un copertone
arrotolato sulla schiena dopo aver forato due volte proprio in quella
zona.
Dopo il bicigrill di Nomi arriviamo
comunque a Trento e qui mi capita la seconda avventura. Come al
solito eravamo fuori dalla traccia con un gruppetto di quelli che
"vanno a naso" senza road book nè GPS, decido allora in
solitaria di crossare sulla sinistra per tornare sulla retta via ma
mi trovo su un ponte che scavalca elegantemente la sottostante pista
ciclabile: che fare? vedo poco avanti un nuovo ponte e decido di
proseguire ...peccato che la strada sia un provincialone vietato alle
bici. Mi avventuro così su un tratturo di campagna che porta alla
discarica comunale, poco male se non fosse che dopo aver issato di
forza la bici sulla strada scopro che la zona è tutta un
lavori-in-corso e lo è anche il mio agognato ponte. Lo raggiungo e
scopro che è ancora allo stato scheletrico come potete vedere dalla
foto.
Evidentemente non mi do per vinto ma quando già pregusto il
ritorno sulla ciclabile, sulla quale vedo sfrecciare a pochi metri
ciclisti di ogni fattezza, scopro che la fine del ponte è stata
chiusa con cura da impenetrabili reticolati di ferro, manco fossimo
in guerra. Sotto passa l'Adige, anche bello in piena, e non so
letteralmente che fare. Di tornare indietro comunque non se ne parla
così scaravento il ciclo fuori dal parapetto e sempre tenendolo con
una mano mi esibisco in un passaggio di quinto grado degno di
Messner. Basta un niente perchè io e la bici si precipiti nell'Adige
in piena col rischio di essere ripescati verso Castelvecchio a Verona
con l'effetto tipo "torna alla partenza"del gioco dell'oca.
Per fortuna va tutto bene e trovo un gruppetto che sta risalendo
verso il secondo controllo di Salorno. Qui la condizione meteo si fa
preoccupante e molte sono le previsioni sulle conseguenze del
temporale che già inonda la Val di Non. In ogni caso a breve le
nostre ipotesi sono sommerse da un muro d'acqua che ci inonda appena
entrati in zona sud-tirolese ovvero appena varcato il "confine"
di Mezzocorona. Al bicigrill di Salorno vedo che molti navigati
randonneur se la prendono giustamente comoda, cogliendo l'occasione
per una bella mangiata, io invece proseguo alla caccia di altri
randagi visto che ho stabilito di arrivare abbastanza velocemente a
Merano per prendermela più comoda dopo. Mi infilo quindi sulla
variante verso il lago di Caldaro sulla quale, e qui condivido i
dubbi di Parakito, ho l'impressione che più di un partecipante non
sia transitato. Chittelofaffà infatti di infilarti sulle strette e
irte ciclabili che scorrono tra meleti quando c'è una comoda
ciclabile-provinciale che sale a Merano? Quelli che sicuramente non
demordono sono gruppi di ciclo-viaggiatori di fattezze
prevalentemente nord-europee che pedalano come niente fosse sotto la
pioggia. Chapeau per loro e per il mio nuovo campanello che sfoggio
ad ogni gruppetto familiare venendo ripagato dallo sforzo per
montarlo.
Prima di Merano uno del nostro
gruppetto, visto che nel frattempo ha smesso di piovere, decide che
per riscaldarsi non c'è cura migliore che "alzare un po'
l'andatura" ci ritroviamo così ai 40 all'ora dietro a questo
stantuffo raffreddato nella speranza che si scaldi al più presto.
Arriviamo comunque verso le 13 e 30 Merano non prima di non esserci
persi svariate volte alla ricerca del famigerato Athletic Club. Lì
vedo che qualcuno timbra, mangia un panino e via verso passo Resia e
onestamente non so se ammirarli o biasimarli...ancora così fradici,
senza neppure cambiarsi...boh ognuno comunque interpreta il viaggio
come vuole. Personalmente mi fermo circa un'oretta, mangio qualcosa
che mi ero portato, mi cambio e riparto verso la parte più dura del
percorso.
La salita a passo Resia viene descritta
come ripida all'inizio, poi pianeggiante poi ancora dura nel finale.
Io riesco ancora a perdermi uscendo da Merano visto che le tracce
GPS si incrociano ma poi mi trovo sulla splendida ciclabile che porta
alla Val Venosta. Sono felice mentre pedalo tra paesini curati,
boschi e montagne su una bella ciclabile: è bello vedere che c'è
ancora qualche zona, quasi italiana...che apparentemente funziona ed
è ben tenuta. Il controllo di Lasa è su uno splendido laghetto con
tanto di timbratice in costume tirolese. Sarà il nome del paese, la
mia maglia "Free Tibet" o la vista del convento di Santa
Maria Maria a Burgusio che mi ricorda il Potala ma ho quasi
l'impressione di essere in un distaccamento Tibetano.
Mi riportano
alla cruda realtà le micidiali sparate della salita, onestamente un
po' eccessive per dei randagi carichi come muli dopo 300km. Al
ritorno noto infatti che molti preferiscono salire sulle sinuose ma
decisamente più pedalabili curve della strada statale. Pure io,
anche se per errore e seguendo l'eroico valdostano di cui sopra, mi
ritrovo a fare qualche tornante sotto le pale delle turbine che
rovinano ulteriormente una zona già ampiamente deturpata dall'uomo
che vi ha piazzato un lago artificiale il quale ha sommerso , tra
l'altro, la famosa chiesetta di Curon. Ma è poi vero che tutti
usiamo l'elettricità e da qualche parte bisogna comunque produrla...
La serata è splendida e scoprirò solo
al ritorno che in effetti la val Venosta è la zona meno piovosa
dell'arco alpino e che grazie a questa caratteristica le mele locali
sono così croccanti. Al controllo mi concedo un bel piatto di penne
al pomodoro anche perchè sento di avere un netto calo di zuccheri.
Indosso tutto quello che ho nelle borse e non mi sbaglio perchè la
fama di zona fresca non è immeritata e anche sono solo le 19 fa già
freddo in discesa, non mi stupisce che fra quanti sono passati più
tardi ci sia stato un caso di ipotermia. Rientro verso la zona di
Malles che trovo molto piacevole mentre nell'immaginario collettivo
degli Alpini bergamaschi la locale caserma era considerata come
l'anticamera dell'inferno. Glorenza è ancor più bella e la mia
personale fascinazione verso la val Venosta viene accresciuta dalla
constatazione che spira un bel vento a favore, vento da nord che mi
accompagnerà piacevolmente lungo quasi tutto il ritorno.
Dopo il ricontrollo di Lasa decido che
la ciclabile è una bellissima invenzione di giorno, in salita o in
pianura, con la famiglia ecc. ma di notte e in discesa è meglio la
classica statale seppur trafficata . Della mia stessa opinione
sembrano essere altri stagionati randagi con i quali scendo fino a
Merano. Qui la palestra dell'Athletic Club si è trasformata in un
surreale dormitorio con ciclisti addormentati tra panche, rulli e
bilancieri. Decido che sto bene e voglio pedalare da solo nella notte
così mi do una risciacquata, mangiucchio qualcosa, mi vesto un po'
più pesante e mi srotolo verso Bolzano per la parte finale del giro.
Riesco ancora a perdermi per uscire da Merano, Teufel!!, e
contemporaneamente constato che la catena è totalmente secca. Non ho
olio perciò mi fiondo in un ristorantino che sta chiudendo e chiedo
ad una famiglia di Schützen
se hanno un po' di olio da cucina da imprestarmi. I tirolesi guardano
tra l'incredulo e lo sdegnato l'Orribile Ciclista Notturno Italiano e
mi squadrano come un marziano...mi sembra di essere Aldo nella famosa
scena della "Cadrega" nel fil 3 uomini e una gamba. Per
fortuna viste anche le 4 parole 4 di tedesco che sfoggio mi concedono
un fondo di bottiglia di olio da friggere che per me è oro colato.
Il padrone esce per sincerarsi delle mie attività oliatorie e credo
di leggere nel suo cervello cosa pensa di un disperato cinquantenne
che passa il sabato notte a pedalare anche perchè è anche quello
che mi ripete mia moglie: tu si pazzo!!
Comunque con la mia catena bella oliata
e il vento a favore scendo verso Bozen a manetta, imbocco bene la val
d'Adige e scendo in solitaria ai 30km/h verso il controllo di
Salorno. L'Adige è lì tranquillo ma verso Egna non posso non
ricordarmi le toccanti parole scritte in memoria di una fatale
alluvione all'ingresso della casa dove avevo trovato, in gioventù,
lavoro come raccoglitore di mele:(mi perdonino gli amici veneti per
gli errori ortografici...)
Da quand ch'al vecio Ades
l'ha sbregà fora i tomi
sem pieni de pacioca
no i vien p'ù gnanca i Pomi
traduzione : Da quando il vecchi Adige
ha rotto gli argini siamo pieni di fango e non ci sono più neanche
le mele...
Trovo il controllo di Salorno
decisamente più sguarnito, ora al timbro ci sono due ragazzotti più
o meno alticci e continuo subito per la mia discesa; a San Michele
non posso non fermarmi per immortalarmi sotto al ponte Calatravante
che offende l'Adige.
A Nomi invece il controllo con l'ipotetico
ristoro è composto da un misero timbro autogestito, tutto chiuso
troveremo anche all'ultimo controllo "segreto", meno male
che ho le mie scorte. La salita di Brentonico della quale si era
tanto parlato si riduce in 6-7 km pedalabili in un alba splendente,
piuttosto mancano assolutamente le indicazioni come pure il senso di
questa salita sui contrafforti del monte Baldo per poi rituffarci
subito verso l'Adige...forse sarebbe stato meglio rimane in quota e
scendere più avanti, piuttosto che inserire gli strappi tagliagambe
vicino a Verona come quello della Dogana.
Ho fatto una piccola inchiesta e quasi
nessuno di quelli arrivati con me aveva seguito le indicazioni del
Roadbook trovando decisamente più comodo tirare dritto verso Verona
evitando stradine strette, pericolose a causa dei sassi e della
ghiaia nonchè ipertrafficate da mandrie di manzi da granfondo
intenti nella sgambata della domenica mattina. Insomma in una rando
tanto ben organizzata credo che il percorso nel finale vada un poco
rivisto...capisco la volontà geografico-didattica di seguire il
corso del "vecio Adès" dalla sorgente all'Arena ma credo
che il randagio standard dopo 550 km e magari una notte in bianco
alle bellezze esplorative preferisca una pianeggiante &
tranquilla strada anche non ciclabile che lo conduca verso l'agognata
doccia finale.
Rientro al Palasport verso le 10 e dopo
un'ottima doccia e un buon ristoro sono pronto al ritorno all'ovile,
anche questa 600 è andata e ora sono pronto per smazzarmi la 1001
miglia...che la Scala di Verona di assista...
giovedì 5 luglio 2012
Il Bianco e il nero.
Nel corso del mio viaggio di
avvicinamento verso i meandri della sado-follia umana nonchè della
1001 miglia mi sono trovato ad affrontare il problema della 600 km,
brevetto appunto necessario per potersi iscrivere alla succitata
randonnee, una fachirata da 1600 km a zonzo per l’Italia da coprire
in massimo 135 ore nel fresco del Ferragosto!
Avevo previsto di partecipare alla
rando di Castelfranco del 9 giugno ma il 29 maggio, durante il
consueto giretto nella bassa modenese, sento la bici che mi salta via
e contemporaneamente una forte ventata .Continuo a pedalare ma inizio
a notare che la gente è tutta per strada che guarda preoccupata la
propria abitazione, quando dopo pochi minuti vedo che la facciata
della pizzeria dopo Ponte Pioppa è sbriciolata in mezzo alla strada
capisco che questa scossa è stata pesa. Quando entro a Cavezzo trovo
una scena da tragedia: case e capannoni sbriciolati, gente in lacrime
e caos totale nelle strade. I cellulari non funzionano. Panico, mi
sento totalmente fuori luogo con la mia bici da corsa in mezzo a
questo inferno perciò scappo ipnotizzato dalla scena di distruzione
che mi scorre davanti agli occhi per cercare la mia famiglia. Per
fortuna stanno tutti bene e anche le nostre case sono ancora in
piedi, purtroppo come sapete le scosse continueranno riuscendo a
togliere sicurezze e pace a tutti. Solo chi lo ha vissuto può capire
come un terremoto scavi in profondità insinuando crepe nei muri e
nelle menti: è evidente come in questa condizione avessi altro in
mente che andare in bici per preparare la 600 di Castelfranco.
Nei giorni successivi al botto il sisma
continua a essere una presenza così invasiva che in certi posti di
lavoro iniziano a comparire cartelli “Vietato parlare del
terremoto”. Così anch’io, chiuso con triste anticipo l’anno
scolastico, torno, tra i cazziatoni di mia moglie, al mio futile
brevetto per la 1001 miglia. Chiodo scaccia chiodo. Per il 23 giugno
avevo già da tempo addocchiato la Randonnee del Bianco, partenza da
Biella e a seguire Val d’Aosta, Francia e Svizzera per rientrare,
forse, in Italia dopo essersi scammellati oltre 10000mt di
dislivello. Se non è follia questa…
Beh comunque se ce la fanno gli altri
perché non dovrei riuscirci anch’io? In fin dei conti nelle
fotografie delle edizioni precedenti vedo persone normali, ciclisti
appassionati ma non Supermen e poi il panorama da mozzafiato, penso,
mi darà una spinta in più.
Il primo contatto con l’ambiente di
Biella è sulla terrazza del ristorante Atena dove la cena
pre-partenza viene elegantemente servita in una rilassata atmosfera
che non lascerebbe presagire che quella trentina di ciclo-fachiri
presenti dopo qualche ora sarebbe stata alle prese con alcune delle
più dure salite della propria vita. Alle 22 dopo le ultime
indicazioni, che, seppur fondamentali. pochi ascoltano e ancor meno
capiscono, si parte.
( Mi piacerebbe qui inserire una
digressione su come gli organizzatori di queste ciclo-torture, se ne
arrivino beati col megafono al punto di partenza mentre uno sta
rimuginando se ha preso tutto e soprattutto cosa sta facendo lì e
illustrano in 5 minuti tutte le modifiche al tracciato tipo"da
Poggibonsi alla Consuma seguite i cartelli per Roncisvalle ma attenti
a non prendere la ciclabile per Prato che vi porta in culo al mondo
...ecc, ecc" come se il Milanese o il Padovano di turno fossero
dei Garmin-viventi e conoscessero a memoria gli svincoli e le strade
d'Italia) beh comunque mettersi nei panni degli altri è sempre stato
un gran problema!
Comunque torniamo a Biella: veniamo
scortati con una blanda andatura fin quasi ad Ivrea poi il gruppo si
spezza e si procede con moderazione fino ad Aosta, nel frattempo ho
il piacere di conoscere personalmente “Cimebianche” che tra
l’altro ha una casa da queste parti e mi illustra le oscurate
bellezze architettoniche locali. Poi, rimasto con una decina di
randagi, mi incaponisco a seguire in solitaria la traccia GPS mentre
tutti proseguono sulla comoda provinciale; il risultato è che ho il
modo di apprezzare la bellezza di vari paesini come Pollein ma
perdendo tempo e faticando “inutilmente”. Poco prima di
Courmayeur la strada inizia ad inerpicarsi verso La Thuile e poi su
su fino ai 2200 mt del Piccolo San Bernardo. E’ prima vera salita
del tour ed è anche la prima volta che salgo in bici a queste
altitudini per di più in notturna. Sarà l’atmosfera sciccosa
della zona, sarà che trovare le classiche scritte per terra
inneggianti non a Righetti o Ballabio ma a Thor Hushovd o a T.
Voeckler beh sta il fatto che affronto la salita a manetta e arrivo
su in cima solitario mentre albeggia in un paesaggio surreale tra
rocce, nevai, nebbia e un freddo cane: 6 gradi ti gelano il sudore e
le meningi e mentre mi butto in discesa intravedo l’enorme statua
del Santo che nella nebbia sembra voglia cogliere l’occasione per
allungarmi una bastonata memore di tutti i miei peccati passati
presenti e futuri.
Arrivo alle 6,30 al primo ristoro a
Bourg Saint Maurice dopo circa 185 km totalmente surgelato e i
gentilissimi organizzatori mi ricoverano subito all’interno della
loro roulotte dove mangio e bevo di tutto, poi parto per il Cormet de
Roselend. Qui scopro una simpatica caratteristica francese, ovvero
quella di costellare le salite di segnaletica ciclistica recante
precise indicazioni su: quanti km mancano alla fine, altitudine e
pendenza del prossimo km. All’inizio mi sembra una figata ma dopo
un po’ capisco che tutte queste informazioni uccidano la sorpresa e
la speranza che “forse dopo quella curva scolliniamo o spiana”
invece così il verdetto è palese e sai che inesorabilmente dovrai
spremerti per altri 9km e che il prossimo sarà all’8% e quindi ti
dovrai ancora spremere prima dell'agognata discesa. Per fortuna lo
spettacolo è di prima e l’aria inizia a scaldarsi anche se nella
discesa sullo splendido lago alpino di Roselend mi devo fermare
mentre mi sorpassano i due ragazzi valdostani che arriveranno per
primi a Biella. Bisogna dire che le salite sono lunghe ma
assolutamente pedalabili e che l’alta Savoia, e qui scopro l'acqua
calda, è davvero una splendida regione. Mi ciuccio anche il colle
Saisies sul quale campeggia questa enorme statua al ciclista ignoto.
Altra discesona e a questo punto giunto al 260km di Megeve mi dico
“il più è fatto”…questo è l’errore più grave del
ciclo-randagio, perché gli ultimi km rischiano di trasformarsi in un
calvario infinito. Tale calvario assume colori e calori estivi ma
soprattutto si concretizza nella ciclabile per Chamonix. Adesso è
vero che se il nome non fa l’uomo tanto meno farà una strada ma
mi ero illuso che il tratto che porta sotto al Monte Bianco fosse un
nastro pianeggiante in legno di teak e che mi portasse alla meta tra
verdi praterie ove leggiadre giovani vestite in costumi locali
offrivano frutta di vario genere (if you know what I mean…) di
certo non ero pronto a questa strada stretta, ripida e bucherellata
degna di una carrettiera albanese. Essendo sabato pomeriggio la via
era anche trafficata da automezzi incautamente sgommanti con alla
guida giovani tazzurri locali che sparpagliavano da impianti di
500watt musicaccia degna dei bassifondi di Las Vegas. Sembrava che
tutte le macchine del 74° arrondissement avessero qualcosa da
cercare su quella carrettiera e sicuramente l’avevano a meno che
non stessero provando la prossima Parigi-Dakar. Intanto che
smoccolavo capii come mai, visto lo stato delle ciclabili, la MTB
spopolasse tra i giovani francesi. Ma come spesso accade in mezzo
alla spazzatura si trovano perle inattese, sostanziate in questo caso
dalla splendida scuola di Vaudagne dove sia per l’estetica che per
la vista mozzafiato non mi dispiacerebbe andare a finire la mia
carriera docente.
Certo la vista del gruppo del Bianco è
notevole soprattutto per la corpulenza del massiccio in generale ma
comunque l’arrivo a Chamonix è reso piacevole dalla brezza che una
volta tanto soffia in mio favore. Sono davvero cotto e per fortuna
passano due ragazzi che stanno andando a fare un giro sul Forclaz e
mi scortano fino al ricovero di Trient raggiunto dopo 330 km coperti
in poco più di 17 ore .
Il quartier di tappa a Trient è
alloggiato in una pensione che ha visto giorni migliori ma è
comunque funzionale. Ci sono i due di Aosta che ripartiranno senza
neppure farsi la doccia invece io me la prendo comoda mentre i
ragazzi dell´organizzazione mi preparano una splendida pasta in
bianco impietositi dalla mia condizione di vegetariano. Mi diranno
poi gli altri randagi che mi e´ andata di lusso visto che il riso di
ordinanza era praticamente crudo. Mi cambio e rinasco, provo a
mettermi in branda ma l´arrivo degli altri randagi mi sveglia
cosi´sonnecchio un poco e decido che è meglio ripartire. Cerco però
di organizzare un gruppetto che alla fine sarà composto dal russo
Igor, Marco mobiliere della Valsassina e Gaetano, simpatico ragazzo di
Vicenza che gira con un impressionante casco da downhill "perchè
ha visto troppa gente conciarsi male in bici" considerazione
assolutamente condivisibile, soprattutto da uno come me che l´anno
scorso ha rischiato di rompersi due vertebre in discesa, peccato che
tanta prudenza non lo fermi dall'affrontare la discesa dal colle di
Forclaz a velocità sconsiderata . Devo ammettere che la picchiata su
Martigny e´ decisamente invitante e spettacolare come sarà tutta la
valle del Rodano. C´è addirittura il vento a favore il che conferma
che e´ una zona veramente fortunata e unica come del resto tutto il
Vallese, un cantone che vanta svariati record europei possedendo il
più grande ghiacciaio e la più grande diga, il più grande lago
sotterraneo e secondo noi anche il più lungo rettilineo perchè
andando verso Briga ci sono delle tirate infinite. Nel frattempo il
nostro amico di San Pietroburgo ci ha mollato incazzatissimo perchè
da anarcoidi italiani quali siamo insistiamo a starcene sulla
provinciale per Sion invece che seguire la parallela traccia GPS.
Strada facendo notiamo una passione
nazional-calcistica che ci lascia perplessi visto che e´ tutto un
susseguirsi di macchine claxonanti con bandiere portoghesi, italiane
o spagnole. Siamo durante gli europei, è vero, ma evidentemente la
lontananza dalla terra nativa amplifica la passione, come testimonia
la proprietaria di un bar dove ci fermiamo a bere qualcosa che, da
buona portoghese, vede già la coppa in mano a Cristiano Ronaldo. La
lasciamo a cullarsi nelle sue chimere calcistiche mentre notiamo che
nel frattempo dal francese siamo passati al tedesco, altro
particolare di un cantone quadri-lingue, e finalmente arriviamo ai
piedi del Sempione dove l´amico vicentino ci lascia, ufficialmente
per riposare anche se la vicinanza di un paio di localini
"movimentati" ci fa venire qualche sospetto. Rimaniamo
quindi a mezzanotte solo io e Marco all'attacco del gigante
Simplon, avremmo voluto prendere la versione soft della provinciale
ma il GPS ci trascina su per i ruvidi tornanti della "scorciatoia".
Io inizio ad avere male al soprasella cosi´ continuo a scattare sui
pedali non tanto per le pendenze, comunque ragguardevoli, quanto per
far rifiatare un po´ le dolenti zone. Giorgio invece sale più
regolare e quando raggiungiamo lo stradone che ci porterà in cima e´
decisamente più tranquillo anche se la salita nei 23 km non molla
mai neanche per un metro. La nottata e´ decisamente mistica e
piacevole, niente luna ma una stellata infinita. In cima ritroviamo i
gentilissimi ragazzi del camper che preparano un buon te, mangiamo
quanto possiamo e facciamo squadra con due ragazzi di Cuneo che
staranno con noi fino all'arrivo. La discesa e' bellissima e
ritorniamo in Italia mentre albeggia. La prima chiara testimonianza
del nostro rientro in patria e' purtroppo rappresentata dal pietoso
stato delle gallerie verso Domodossola. Dopo 24 ore tra Vallee',
Savoia e Vallese c'eravamo illusi che le strade potessero essere ben
tenute ma evidentemente dalle nostre parti ci sono altre priorità
nello spendere i soldi pubblici, tipo bombardare i poveri Afgani.
Comunque ci ritroviamo a poco più di
100km pianeggianti dall'arrivo e ci diciamo "beh e' finita"
come sopra…mai dire o pensare una cosa del genere. Gli ultimi
strappi sembrano il Mortirolo e quando ogni tanto anche il GPS mi
manda fuori strada capisco dai commenti dei soci che non ne hanno più
neanche loro. Credo sia tutta una questione di testa e l'esperienza
servirà anche a non rifare questo errore in futuro, forse mi
scriverò sulla bici "non dire gatto finchè non sei arrivatto"
o qualche bestialità simile perchè non e' possibile passare le
ultime ore come dei nafraughi su una scialuppa alla spasmodica
ricerca di un'isola. Parafrasando don Bosco che diceva " Dovete
pensare come se foste immortali e agire come se fosse l'ultimo giorno
della vita" potrei dire che durante una randonnee bisognerebbe
sempre pedalare come se si fosse al primo km ma con i pensieri che si
hanno all'ultimo...
La situazione comunque precipita quando
scopriamo di aver saltato l'ultimo controllo che in effetti io non mi
ero segnato nella traccia GPS visto che' e' stato aggiunto solo
all'ultimo secondo. Una telefonata all'organizzazione ed il
conseguente timbro in un hotel locale ci evitano altri 20km fuori
programma che le mie chiappe avrebbero decisamente rifiutato.
Arriviamo quindi a Biella verso le 9 e 30 e riuscendo a stare
abbondantemente sotto alle 40 ore .
Credo che tutto insegni nella vita e la
prima 600km, e che 600!!, possa insegnare ancora di più.
Innanzitutto dovrò cercarmi una nuova
sella perchè e' proprio vero che quello che può andare bene in una
400 non deve necessariamente funzionare in una 600 e io all'arrivo mi
sento come se avessi passato una "caliente" nottata tra le
"cure" di King Kong.
Poi ho imparato che è sempre meglio,
se possibile, pedalare con altri, mangiare continuamente e tenere
alto il morale. Il tempo speso nella scelta dell'abbigliamento per
portarsi solo quello di cui si avrà bisogno non sarà mai troppo. Il
mio dubbio iniziale tra il brevetto da 50 e quello da 40 si e'
risolto da se' ma ancora una volta sono reazioni fisiche personali
che solo con l'esperienza si possono prevedere. Adesso so cosa posso
fare!
Il più bel ricordo che resta comunque,
oltre alla gentilezza degli organizzatori, e' stato un bambino
francese che proprio sull'orribile pista per Chamonix dopo aver
guardato il numero sulla bici e il mio sguardo stravolto mi ha
caldamente applaudito ridandomi morale…come dire che anche solo la
purezza di un piccolo gesto può ancora trasformare il nero in
Bianco.
lunedì 14 maggio 2012
Jus primae noctis
In questi giorni sto festeggiando il
20° anniversario di matrimonio mi è perciò naturale fare un
parallelo tra la mia prima notte in bici e quella di nozze. Sgombro
subito ogni dubbio: sono state entrambe nottate indimenticabili ma
per ragioni un po' diverse. Iniziamo dalle nozze che se mia moglie
per sbaglio dovesse leggere questo blog altrimenti s'incazza!
Devo dire che vent'anni fa ero ancora un giovane scavezzacollo inoltre avevo lavorato come una bestia per finire la casa in tempo per la cerimonia così la sera fatale, e anche quella prima in verità, celebrai di brutto tanto che gli amici mi offrirono un lisergico "viaggio" di nozze che mi fece passare una notte decisamente per aria...mia moglie, peraltro già al secondo mese di gravidanza, non la vidi che alla mattina... fu comunque una nottata indimenticabile per varie ragioni.
Devo dire che vent'anni fa ero ancora un giovane scavezzacollo inoltre avevo lavorato come una bestia per finire la casa in tempo per la cerimonia così la sera fatale, e anche quella prima in verità, celebrai di brutto tanto che gli amici mi offrirono un lisergico "viaggio" di nozze che mi fece passare una notte decisamente per aria...mia moglie, peraltro già al secondo mese di gravidanza, non la vidi che alla mattina... fu comunque una nottata indimenticabile per varie ragioni.
Quella passata sabato 5 maggio
sull'appennino tosco emiliano rimarrà per me altrettanto storica: da
troppi mesi me la immaginavo, mi chiedevo come avrei reagito...se ce
l'avrei fatta o se alle 6 di mattina la crisi dell'alba non mi avrebbe
costretto alla resa. Un inverno passato a fantasticare e a leggere le
esperienze di altri ciclo-randagi su luci, borse, gps, Parigi-Brest,
abbigliamento, bici, cazzi e mazzi...alla fine quando siamo partiti
da uno squallido piazzale di Lugo ero carico come una molla...infatti
nei primi chilometri, incurante della pretattica difensiva studiata
con il mio socio Vegano, mi ritrovo addirittura a tirare il gruppetto
sui 35 all'ora verso Cesena. Poi mi rendo conto che la strada è
ancora luuunga e mi rimetto cheto a ruota...inizia la prima salita e
in sei schizzano come serpenti e dopo un po' non ce la faccio più a
seguirli e così rimango solo. E' bello pedalare nel silenzio dei
boschi e poi è la serata di luna piena più luminosa dell'anno e
sopra, quando il panorama si apre, è uno spettacolo mozzafiato
vedere monti e prati inondati di luce lunare: sono particolarmente
commosso soprattutto perché il meteo aveva previsto pioggia.
Mi rimpinzo al primo ristoro, posto dopo quasi 100 KM al paese di Spinello, ma le uniche canne che girano sono quelle dei telai degli altri randagi. Riparto velocemente e resto insieme con un tipo di Urbino con il quale passerò il resto della notte. E' un ex maratoneta che si sta preparando alla Straducale anche se è visibilmente indietro di preparazione; ci facciamo compagnia durante l'interminabile salita al passo della Calla: in vetta a 1300metri ci saranno 3/4 gradi e un bel nebbione.
Mi rimpinzo al primo ristoro, posto dopo quasi 100 KM al paese di Spinello, ma le uniche canne che girano sono quelle dei telai degli altri randagi. Riparto velocemente e resto insieme con un tipo di Urbino con il quale passerò il resto della notte. E' un ex maratoneta che si sta preparando alla Straducale anche se è visibilmente indietro di preparazione; ci facciamo compagnia durante l'interminabile salita al passo della Calla: in vetta a 1300metri ci saranno 3/4 gradi e un bel nebbione.
La traccia GPS, in uno dei
pochi passi falsi dell'ottima organizzazione, indica di continuare a
salire...invece scendiamo in Toscana più esattamente in Casentino
dove 25 anni fa avevo vissuto una fallimentare esperienza da pastore
di capre. Quanti ricordi e quanto è strana la vita, pensavo,
iniziando a macinare il passo di Croce dei Mori. Inizia ad albeggiare
e la discesa è da favola: boschi, profumo di acacie in fiore,
eleganti panorami toscani...se non è il paradiso poco manca. Al Km
195 a Vicchio secondo controllo fuori da un bar, siamo partiti da 8
ore e mezzo ma devo salutare il compagno di pedalata che ha spesso
crampi e appena la strada sale va in difficoltà. I ragazzi
dell'organizzazione assicurano che l'ultima salita al passo della
Colla è "solo lunga" ,e generalmente tali affermazioni
nascondono strappi al 16% o cose del genere, quindi alla fine sono
proprio felice quando mi appaiono le sgangherate vestigia dell'hotel
Fonte dell'Alpe con l'ottima acqua locale e la constatazione che le
salite dure sono finite.
Durante la discesa scopro che Marradi ha
dato al mondo la possibilità di leggere le poesie del "celebre"
Dino Campana, scrittore impazzito all'inizio del '900 dopo aver
scritto in un manicomio parole di ottismo come «Tutto
va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili...»
Ancora uno strappetto ed eccoci al
pantagruelico ristoro del Km 250 dove il percorso si sovrappone a
quello del "Giro di Romanagna", una simil-granfondo che si
corre su varie distanze. Lì un tipo dell'organizzazione ci trova un
"treno" per rientrare a Lugo, costituito da una decina di
tarantolati dalla granfondo che naturalmente si mettono a menare a 45
all'ora su uno stradello pieno di buche e saliscendi. E' il classico
gruppetto di fenomeni che rilanciano, misteriosamente, a ogni dosso o
curva e immaginate che piacere siano questi scattini dopo 280km e
3800mt di dislivello. Comunque arrivo sderenato a Lugo 13 ore dopo
la partenza. Qui mi do una rinfrescata e salto in bici per gli ultimi
pianeggianti 100 km fino a Comacchio. Peccato che i pedali non diano
più segno di vita ovvero girino senza causare nel mezzo quel
corrispondente moto in avanti che tanto gratifica i ciclisti di ogni
specie, dal campione del mondo su pista all'ultimo pedalatore di
risciò indiano. Mentre mi interrogo e condivido l'interrogativo con
i solerti ragazzi dell'organizzazione, vengo a scoprire
dell'esistenza del "cricchetto del mozzo". Devo ammettere
che sarei rimasto volentieri all'oscuro sull'argomento anche
cullandomi nella beata ignoranza convinto che si trattasse di uno
spiritoso passatempo da marinai. Invece scopro che senza questo benedetto
cricchetto la catena fa girare i pignoni a vuoto ed essi non
trasmettono il movimento alla ruota: che fare? Nella sfiga due colpi
di culo: uno, il casino è successo nel piazzale della partenza a
Lugo e non in mezzo all'appennino tosco-emiliano alle 3 di
mattino...due, i romagnoli sono veramente gentili e ospitali. Gli
organizzatori vanno a chiamare innanzitutto un tipo che stava
giustamente vendendo bici nel suo stand e lo spediscono a cercarmi
una ruota compatibile con il mio Shimano, poi va a casa uno
dell'organizzazione a prendermi la sua bici infine un terzo ragazzo
viene sguinzagliato a caccia di ruote posterioni. In pochi minuti la
mia disperazione, il brevetto da 400KM mi serve per l'iscrizione alla
1001 miglia..si trasforma nella certezza che in modo o nell'altro gli
amici della Baracca-Lugo mi faranno ripartire e infatti dopo pochi
minuti sto trebbiando sulla camionabile Lugo-Alfonsine-Comacchio. La
strada ha il nickname di "Raspona" e dopo un po' capisco il
perchè...il fondo in certi punti è degno del pavè della Roubaix;
un esperto randonneur che l'ha fatta 3 volte, che culo !, dice che la
classica del pavè è molto peggio ma per me basta questa. Sul
ritorno scopro che questi mangiapreti di romagnoli hanno avuto il
coraggio di chiamare una via "Casso Madonna"...
Beh comunque
chiudo la mia prima 400 in poco più di 17 ore, inclusa un'ora persa
per via del cricchetto e intanto arriva anche l'amico Vegano che ha
fatto il giro da 300 con suoi conoscenti di Milano dei quali uno è
stato male dopo la Calla, probabilmente per un colpo di freddo in
discesa, e ha passato mezzo giro con lo stomaco sottosopra
"stracciando" a ogni curva...sono stati davvero bravi a
riuscire ad arrivare.
Dopo la doccia si va al pasta party che
però è in fase di smobilitazione..no problem, gli organizzatori ci
danno un buono per un chiosco locale dove, seppur vegetariani,
veniamo saziati da una simpatica ragazza...grazie Romagna e grazie
ancora ai ragazzi della Baracca-Lugo...se tutti organizzassero
randonnee come loro la gente forse deciderebbe in massa di passare
la prima notte di matrimonio pedalando...o no?
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